Per la rubrica “La storia siamo noi” lo storico materano NIno Vinciguerra ripercorre l’evoluzione del Convento di Santa Lucia al piano, immobile che dal 2017 ospita l’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro della città di Matera. Di seguito la nota integrale.
Nino Vinciguerra: “Convento di Santa Lucia al piano, dalla ribellione all’alta formazione”.
Nella seconda metà del Settecento le monache di clausura, benedettine, dell’antico convento di S. Lucia situato alla periferia della civita, decisero di lasciare le celle del loro cenobio e, con coraggio, “al seguito di una croce, sole e senza alcuna guida” (Nicolò Domenico Nelli) decisero di andare nella zona nuova e pianeggiante della città alla ricerca di un immobile ampio, decoroso e più adatto alle esigenze della vita monastica. Fu uno scandalo. Le monache si mossero in questa direzione anche perché turbate dal ripetersi di continui e inaspettati decessi tra le claustrali stesse; si pensò che il sottostante torrente Canoprio, comunemente detto Gravina, fosse la causa principale e portatore di gravi infezioni. Seriamente preoccupate, avevano chiesto alle autorità ecclesiastiche di porre rimedio alle loro sciagure facendo presente, inoltre, la precarietà dell’immobile che, in alcune zone, minacciava crolli. Le soluzioni ai problemi che denunciavano erano, come sempre, rinviate. Ed ecco che la loro “sommossa” prese corpo con la scelta di voler cercare esse stesse un luogo più sicuro per il loro futuro. Il Preside della Regia Udienza fu immediatamente informato dal Vicario Generale che chiese l’intervento della forza pubblica per sedare le “rivoltose” le quali, visto ciò, si infuocarono maggiormente. Pertanto, il vicario cercò un’ulteriore soluzione e organizzò una processione con i sacerdoti e con le stesse monache che sfilò per Matera alla ricerca del sospirato luogo dove poter trasferire la comunità religiosa. Furono visitati diversi posti tra chiese e palazzi e persino le “case nuove” fatte costruire nel 1700 dall’arcivescovo Del Ryos nei pressi del seminario. Non ci fu nessuna soluzione in quanto i fabbricati visitati non rispondevano alle esigenze della loro vita. La “giornataccia” si concluse con il rientro delle suore nelle loro celle, soddisfatte per il coraggio dimostrato, impensabile per quei tempi, ma insoddisfatte per non aver trovato quello che cercavano. Per questo episodio l’arcivescovo Francesco Lanfreschi sostituì il vicario generale, reo di non aver saputo impedire la ribellione e le monache furono scomunicate. Solo dopo sei mesi, di duri esercizi spirituali, furono assolte dalla censura del pontefice Benedetto XIV. Passarono ben quarantacinque anni e, finalmente, fu trovata la soluzione al problema per interessamento della Badessa Giustina Pomarici e il convento ebbe una nuova sede. Il 30 giugno 1795 fu individuato, in Contrada delle Pigne, il luogo idoneo alla costruzione del nuovo convento e si diede inizio ai lavori. Il 27 marzo 1797 il convento fu pronto e una solenne processione condusse le claustrali nella loro nuova sede rimasta tale sino al 1938 con la scomparsa dell’ultima suora. Nel 1944 divenne sede comunale e lo è stata sino agli inizi degli anni ’80, quando ci fu il trasferimento nella nuova sede di via Aldo Moro. Lunghi e importanti lavori di ristrutturazione hanno restituito a Matera un contenitore-gioiello e l’ex monastero di Santa Lucia è diventato sede di una eccellenza, vanto della città: la Scuola di Alta Formazione – Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro intitolata a Michele D’Elia, un uomo che non si era rassegnato a pensare alla Puglia e alla Basilicata come territori di un patrimonio culturale minore e che aveva applicato tutte le sue energie alla riscoperta e alla valorizzazione dell’arte e delle sue tracce nelle nostre regioni.
Per oltre mezzo secolo Michele D’Elia è stato al servizio della nostra cultura.
Nino Vinciguerra
La fotogallery dell’inaugurazione dell’Istituto Superiore di Conservazione e Restauro della città di Matera.