In occasione della Santa Pasqua 2018 riportiamo l’omelia che l’arcivescovo di Matera-Irsina Monsignor Antonio Giuseppe Caiazzo, e ha pronunciato stanotte nella cattedrale di Matera durante la Santa Messa di domenica 1 aprile per la Santa Pasqua e la Veglia Pasquale della Notte Santa. Un’occasione per augurare a tutti i lettori di SassiLive una Santa Pasqua di Resurrezione.
DOMENICA DI PASQUA 2018
Carissimi, è la Pasqua del Signore!
Noi tutti, dopo aver annunciato, questa notte, la vittoria di Cristo sulla morte, contempliamo, in un fluire di messaggi, che è davvero risorto.
La meditazione che propongo, in questo giorno così solenne, fa riferimento non solo al Vangelo odierno ma anche ai passi paralleli degli altri Vangeli. Avremo un quadro completo dell’alba della Risurrezione di Gesù.
Questa mattina, prima ancora che il sole sorgesse, abbiamo assistito ad un incedere di donne che, avvolte nei loro veli, attente a non mostrare i loro capelli, hanno sfidato il buio delle tenebre.
Sono donne profondamente addolorate, come i discepoli di Gesù che, però, restano imprigionati nelle paure dei loro fantasmi. Sono donne, guidate dalla Maddalena, che sfidano il dolore, l’ingiustizia della morte di una persona cara, qual era Gesù; sfidano il potere degli uomini, si recano, nonostante il buio, verso il sepolcro.
Ci sono eventi nella vita che sconquassano letteralmente l’esistenza di chi è costretto ad affrontarli e ad andare avanti. Non sempre si è capaci di reagire. A volte il dolore è così grande che ci si chiude nel buio interiore, come in un loculo e si rimane sepolti. Ormai tutto è finito, la vita non ha più senso. Quante volte queste parole le sentiamo pronunciare con profonda rassegnazione! Quante volte le diciamo anche noi in momenti particolari e tristi!
Le donne dei Vangeli sono capaci, nonostante il dolore sia ancora troppo vivo e la ferita aperta e sanguinante, di rianimarsi improvvisamente. Sono innamorate di Gesù, quindi di Dio, perché riconoscono che lui le ha liberate dal male, dal peccato che rappresenta la vera morte. Sono donne che sanno cosa significa fare esperienza di vittoria sulla morte: l’hanno vissuta nella loro carne e lo possono testimoniare senza pudore e paura.
Con S. Paolo potrebbero dire: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo, seduto alla destra di Dio; rivolgete il pensiero alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio! E il loro pensiero, mentre si recano a cercare il morto Gesù, è rivolto “alle cose di lassù”.
Donne, dunque, non in cerca di difficoltà certe, ma rapite dal pensiero di colui che le ha conquistate con la sua Parola, vogliono loro stesse essere Parola vivente. Non capiscono pienamente ma percepiscono che devono testimoniare la Verità che si è fatta carne nella loro carne: ormai sono abitate da questa presenza che fa ardere il cuore.
Donne che s’interrogano, mentre vanno al sepolcro, se saranno in grado di rotolare la pietra. Nonostante i tanti dubbi e le perplessità, sono piene di fiducia e continuano ad andare avanti. Quel corpo straziato, che puzza di morte, vogliono renderlo profumato con gli aromi che portano. Vorrebbero forse renderlo vivo? Nel loro cuore arde infatti il desiderio di continuare a vedere vivo quel corpo che invece giace morto in quel sepolcro. È il desiderio di voler continuare a sentire il profumo di Dio, quel profumo che cambia la storia di qualunque uomo abbia avuto la gioia di incontrare Gesù.
Aromi che erano già stati preparati il venerdì, ma che non avevano potuto portare il sabato, giorno sacro per i giudei, perchè dedicato al riposo così come stabilisce la Legge mosaica. Pertanto, il primo giorno dopo il sabato, la domenica mattina, corrono ancor prima che sorga il sole.
Donne che trovano la pietra rotolata e il sepolcro vuoto. Restano stupite e senza parole. Cercano di capire, chiedono informazioni. Sono in lacrime, disperate, perché non possono più rendere vivo quel corpo che hanno visto morto e sepolto. Ma neanche questo momento, più terribile del primo, le ferma. Sono nate per lottare, amare, partorire la vita. Ma in quel momento si trovano a vivere un parto dalle doglie indescrivibili: adorano la vita e non accettano di partorire morte. Non è nella loro natura!
Donne che trovano la tomba vuota e che si pongono tanti interrogativi. Vogliono capire cosa sia successo. Che non ci sia il corpo di Gesù le disorienta: hanno bisogno di una parola che le orienti, le illumini. Infatti scambiano il Risorto con il giardiniere, ma basta una sola parola, detta alla Maddalena: “Maria”, perché lo scenario cambi. Bastano gli Angeli che, accanto al sepolcro, rivolgono parole che risuonano come un rimprovero: «Perché cercate tra i morti Colui che è vivo?», perché ritrovino la luce. Affermano che Gesù è il Vivente, Colui che possiede la vita. Alle donne, portatrici di vita, viene affidato il compito di annunciare questa verità che cambierà la storia dell’umanità.
Donne che improvvisamente cambiano il loro pianto di dolore in pianto di gioia nel sentire la voce del Maestro. E’ vivo! Gesù è vivo, si è fatto vedere per primo a coloro che sono capaci di accogliere il seme della vita, farlo germogliare nel proprio ventre, sentirlo crescere fino a dilatarsi perché si faccia strada il gemito di un’altra vita.
Donne che vengono proposte come testimoni oculari! E’ contro ogni logica del tempo: non sono credibili, perché la parola di una donna non è da prendere in considerazione, non è attendibile. La Risurrezione di Cristo ha aperto anche questo sepolcro, ridando valore e dignità proprio alle donne che diventano portatrici del più grande annuncio della storia: la Vita, Cristo, hanno vinto sulla morte! Se non loro chi poteva dare un tale annuncio? Vittime della legge degli uomini ma non di quella di Dio che ha riservato loro il più grande dono: il tesoro della vita.
Donne che corrono verso gli apostoli per annunciare che Gesù è risorto, è veramente risorto, corrono mentre ormai il sole, Gesù, allontana la notte per far entrare la luce. Lo hanno visto, sentito. Questa luce entra nel Cenacolo, si aprono le porte e Pietro e Giovanni, finalmente, hanno il coraggio di uscire e correre anche loro verso quel luogo di morte ormai pieno di luce e quindi di vita.
Finalmente anche i discepoli sono capaci di vincere la paura e credere. “Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
Le donne del Vangelo non sono diverse dalle donne di oggi. Apparentemente sono le più deboli, spesso oggetto di ingiustizie, di abusi, di discriminazioni. In realtà sono le più forti. Lo sono quando non si arrendono di fronte a prevaricazioni e prepotenze. Lo sono quando, liberate dalla schiavitù di essere considerate oggetto, si rialzano, recuperano la propria dignità e sono così forti da lottare contro ogni forma di oppressione.
Le donne cristiane sanno di essere l’immagine della Chiesa, Maestra e Madre. Hanno dentro la forza della vita, che diventa bellezza infinita, quando insieme al maschio, mostra il volto di Dio.
Sicuramente in quegli istanti avranno rivisitato i momenti della passione e morte di Gesù. Hanno capito che la risurrezione è vera non tanto perché hanno avuto dei segni (gli Angeli e il sepolcro vuoto) ma perché sono state testimoni della sua morte. Hanno constatato che, quanto Gesù aveva loro insegnato, si è compiuto con la Risurrezione.
Le donne sono le prime testimoni della Risurrezione. Nessuno può essere discepolo di Gesù se non è testimone della Risurrezione. Questa sarà la logica della scelta, da parte degli Apostoli, nel sostituire Giuda Iscariota: «Bisogna dunque che, tra coloro che sono stati con noi per tutto il tempo nel quale il Signore Gesù ha vissuto fra noi, cominciando dal battesimo di Giovanni fino al giorno in cui è stato di mezzo a noi assunto in cielo, uno divenga testimone, insieme a noi, della sua resurrezione» (At 1, 21-22).
Oggi si avverte il bisogno, l’urgenza di testimoni veri, capaci di raccontare l’incontro con il Risorto. È impegnativo: richiede determinazione attraverso un cuore pieno di amore, capace di donarsi. Richiede capacità di trovare un linguaggio nuovo in una umanità che, al contrario, si rivela nemica della vita e amante della morte.
Sono queste donne che c’insegnano a ritrovare la libertà dell’essere figli di Dio, di appartenere a lui, di essere testimoni di Cristo: “Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà”.
Donne, testimoni del Risorto, non schiave dei sentimenti e della prepotenza di uomini dalle menti malate che, incapaci di vera affettività, mettono fine alla loro vita o a quella degli affetti più cari: i figli!
Donne libere, testimoni del Risorto, che sanno dire “si” alla vita, accogliendola e servendola, come dono di Dio, dal concepimento alla morte naturale.
Donne vere, testimoni del Risorto, capaci di mostrare la loro bellezza, le loro capacità tanto da coinvolgere gli uomini a seguire Gesù, amore infinito.
Celebrare la Pasqua, scambiarsi gli auguri, diventa pertanto impegnativo per ciò che comporta: occorre essere testimoni reali che festeggiano la vita e la nutrono con il cibo eucaristico per avere la vita eterna.
Tutti, come le donne del Vangelo, siamo invitati ad andare per le strade del mondo ed annunciare che Gesù Cristo è davvero risorto attraverso fatti concreti della nostra esistenza. Diventeremo credibili se saremo capaci di annunciare ciò che diciamo.
S. Pasqua a tutti.
† Don Pino
OMELIA VEGLIA DI PASQUA 2018
Carissimi, questa è una notte di Veglia speciale.
E’ la notte durante la quale la Chiesa veglia davanti a Dio meditando attraverso alcuni segni che indicano il cammino di fede che stiamo facendo ma anche il percorso sinodale, come Chiesa di Matera – Irsina.
Il primo segno è stato il fuoco che abbiamo acceso all’inizio della veglia; il secondo l’annuncio abbondante della Parola di Dio; il terzo, fra poco, l’acqua battesimale con il rinnovamento delle promesse battesimali; il quarto l’Eucaristia.
Il fuoco
Abbiamo acceso il fuoco nuovo all’esterno della chiesa e subito dopo è stato benedetto. Da questo fuoco ha preso la luce il cero pasquale: Cristo luce del mondo che illumina le tenebre della vita. Ecco perché al terzo annuncio tutte le lampade della Basilica Cattedrale si sono accese riempiendola di luce e noi tutti siamo passati dal buio alla luce.
Dal buio di quell’ora triste, la crocifissione di Gesù, abbiamo tratto il segno visibile della nascita della Chiesa. Il costato di Cristo aperto è come il costato di Adamo: nasce la Chiesa attraverso il simbolo dell’acqua e del sangue che rappresentano il Battesimo e l’Eucaristia.
Il fuoco che abbiamo acceso non è come quello che si accende per la festa di S. Giuseppe, o nel caminetto. E’ la luce che illumina il nostro cammino e dietro la quale procediamo, come il popolo d’Israele che uscì dalla schiavitù d’Egitto.
La Parola
Questa è l’unica liturgia, che la Chiesa celebra, durante la quale viene proclamata in modo così abbondante la Parola. Non a caso viene chiamata da S. Agostino “la madre di tutte le veglie”.
Israele diceva a se stesso: Shema Israel Adonai Elohenu Adonai Ehad , che significa: Ascolta Israele: il Signore è nostro Dio, il Signore è uno. Israele mettendosi in ascolto della Parola sa di stare alla presenza di Dio e fa memoria di tutta la sua storia, rivivendola nell’oggi di Dio con l’uomo.
C’è la nostra storia di uomini da quando siamo stati creati, il nostro peccato e le sue conseguenze, la schiavitù, la liberazione con il passaggio del Mar Rosso, il cammino fatto in tanti anni di vita dentro o fuori la Chiesa a fasi alterne: momenti di gioia, di sconforto, di promesse non mantenute, di tradimenti e rinnegamenti, di alleanze, di rifiuto di Dio e di ritorno a lui.
E’ la storia di Dio fattosi carne e che nel Figlio Gesù si è volontariamente immolato morendo e lasciandosi depositare in una tomba. Ma questa storia è piena di vita: dalla morte nasce la vita vittoriosa. Cristo risorge, distruggendo la morte.
Questa Parola è per noi, per la nostra vita, diventa la nostra stessa vita perché è Dio stesso che ci ha parlato, si è donato e continua a farlo nel pane eucaristico: cibo di vita eterna.
L’acqua battesimale e rinnovamento promesse battesimali
E’ la notte in cui rinnegheremo il nostro peccato. Rinunceremo, fra poco, a Satana, a tutte le sue opere e seduzioni. Diremo “si” a Dio che è Padre, Figlio e Spirito, alla Chiesa che è nostra Madre.
In tutte le chiese del mondo, questa notte, saranno tantissimi i bambini, i ragazzi, i giovani e adulti che riceveranno il sacramento del Battesimo e diventeranno nostri fratelli, figli di Dio e di questa amata Chiesa.
E’ la notte durante la quale ci renderemo conto che noi apparteniamo a Cristo: siamo cristiani; e alla Chiesa: siamo Cattolici. Orgogliosi perché nonostante siamo coscienti delle nostre fragilità e limiti, non siamo migliori di nessuno, abbiamo la certezza di avere addosso il manto della grazia e il sostegno sacramentale: Dio è con noi. Ecco perché stanotte, al termine della veglia, usciremo, oserei dire, con il gusto di chi ha assaporato le delizie divine, ma in particolare il sapore della vittoria della vita sulla morte.
L’Eucaristia
E’ festa, la più grande festa dell’anno che noi celebriamo. Siamo invitati, con il vestito più bello, a partecipare al banchetto preparato per noi. E’ il banchetto eucaristico, attorno alla mensa eucaristica. E’ Pasqua! Senza eucaristia non si può celebrare. Gesù è l’Agnello di Dio che toglie il peccato dal mondo! E’ il cibo di vita eterna. L’Eucaristia, infatti, manifesta, edifica e plasma la Chiesa, mentre la Chiesa celebra, attualizza e vive l’Eucaristia.
Questa è l’esperienza più alta e sublime della Chiesa: nel mentre fa l’Eucaristia, mostra il suo vero volto. Una Chiesa veramente eucaristica capace di coinvolgere e dare l’Eucaristia a tutti i suoi figli che partecipano in modo pieno, consapevole e attivo.
Una Chiesa eucaristica che celebra attraverso tutti i suoi membri nella diversità ministeriale. “E’ tutta la comunità, il corpo di Cristo unito al suo Capo, che celebra (tota communitas (…) celebrat” (CCC 1140 – 1141). Ma il Catechismo della Chiesa Cattolica dice ancor di più: “tutta l’assemblea è ‘liturga’ (
” (CCC 1144). Ma precisa che ognuno dei membri del corpo di Cristo ha “la propria funzione” (CCC 1144).
Nella Chiesa fondamentale è il ruolo del presbitero, in quanto esprime sacramentalmente Cristo capo “come ‘icona’ di Cristo sacerdote” (CCC 1142; 1548-9). Tutto questo viviamo in questa solenne e unica notte di Pasqua.
Questi quattro momenti sono essenziali durante la veglia. Ma perché vegliare? Vorrei entrare nel cuore di questo nostro stare insieme questa notte passando in rassegna quelle che potrebbero essere le veglie della vita.
Nella maggior parte dei casi veglia chi ama. E’ così per un genitore: vegliare sui propri figli quando non stanno bene, quando li aspettano nelle notti che rientrano tardi, quando si preoccupano perché li vedono distratti o tristi. E’ così per il marito o la moglie quando la vita procura ferite interiori, quando si raffreddano i rapporti. Certamente vegliano coloro che servono la sofferenza degli ammalati, delle persone sole. Ma si veglia anche quando si ha paura che possano rubargli i propri beni. E che dire del vegliare di chi deve fare un lungo viaggio. L’elenco sarebbe lungo. Sta di fatto che al vegliare corrisponde una lezione d’amore, si vive un’attesa.
Per noi stasera vegliare significa accogliere il passare di Dio nella nostra vita. Chi l’accoglie attraversa il buio della notte ed entra nella luce, passa dalla morte alla vita, abbandona la tristezza e ritrova la speranza. Questa è la strada della Pasqua tracciata da Gesù Cristo, nostro Signore, morto e risorto per noi.
Celebrare e vivere la Pasqua significa, allora, avere il coraggio di uscire dalla tomba della disperazione e rialzare gli occhi al cielo; riprendere coraggio di fronte alle sconfitte della vita e alle ingiustizie subite; ritrovare la dignità perduta lottando per il bene comune; rimboccarsi le maniche e agire secondo lo stile evangelico del seminare sempre speranza diventando protagonisti positivi in una storia che spesso mette addosso una croce e su questa ti crocifigge.
Celebrare e vivere la Pasqua vuol dire uscire dalla tomba dell’apatia e del pessimismo e correre per le strade di ogni giorno sull’esempio della Maddalena e di tutti gli altri apostoli incoraggiandoci a vicenda. Il cenacolo, la tomba, le strade, gli uomini che incontriamo nelle loro diverse situazioni di vita, sono i luoghi e le persone che ogni giorno visitiamo, incontriamo e serviamo annunciando la speranza che è certezza: Cristo è risorto per tutti.
La nostra vita è un continuo vegliare per scrutare il passare di Dio che si rivela, si fa toccare, ci parla e condivide la nostra esistenza riempiendola di luce, nutrendola della sua Parola, aiutandoci, attraverso la Chiesa, a fare memoria del nostro essere cristiani, partecipando al Banchetto Eucaristico che ci dona la vita eterna.
Durante la vigilia di Pasqua, le famiglie ebree si ritrovano riunite nelle proprie case per la cena, chiamata il seder pasquale: un rito antico pieno di significati, di suggestioni, di ricordi. Durante questo rito fanno memoria, anche con il cibo preparato, dell’amarezza della schiavitù in Egitto, del passaggio del Mar Rosso. Nessuno deve dimenticare, e per questo va ricordato almeno una volta all’anno.
Durante la cena, un fanciullo, il più giovane della famiglia capace di argomentare, deve porre una domanda ben precisa: perché questa notte è diversa dalle altre notti? I genitori rispondono catechizzando le nuove generazione attraverso la Parola (Es 12-15) e dicono: «È il sacrificio della Pasqua per il Signore» (Es 12,26-27)
Anche per noi cristiani questa notte è diversa dalle altre notti perché Cristo ha distrutto la morte e dal sepolcro è risorto glorioso e vincitore.
Cristo risorto è il sole che sorge per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre e nell’ombra della morte e dirigere i nostri passi sulla via della pace.
S. Pasqua a tutti.
† Don Pino