Basilio Gavazzeni: “Per amore fino alla morte solo Gesù”. Di seguito la nota integrale.
Occasione da non perdere la lettura della Passione di nostro Signore Gesù Cristo secondo Matteo, la domenica delle Palme: per scoprire chi è l’uomo di Nazaret e chi siamo noi. Gesù, cavalcando un puledro d’asina, è entrato in Gerusalemme fra gli osanna di una folla straripante. In verità si espone volontariamente alla macchinazione tramata ai suoi danni da Giuda Iscariota e dai capi dei sacerdoti. Con i discepoli consuma la sua ultima cena pasquale. Al vecchio rito sostituisce l’Eucaristia . Poco dopo, nel podere Getsèmani, ai piedi del monte degli Ulivi, si prepara alla sfida suprema. Se più volte Gesù ha affermato la sua divinità con la locuzione “Io Sono”, echeggiando la teofania veterotestamentaria presso il monte Oreb, ha tuttavia amato chiamarsi “Figlio dell’uomo”. Nella Passione è all’apice l’autoabbassamento di Dio nell’Incarnazione. Davvero Gesù è un uomo in tutto simile a noi mentre soggiace alle umiliazioni estreme ed è soverchiato dalle sofferenze più terebranti . È solo. Uno dei Dodici, ladro e ipocrita, lo tradisce per trenta monete d’argento, per di più con un bacio. Pietro, in testa agli altri discepoli, giura fedeltà quand’anche dovesse morire, poi lo misconosce tre volte. I prediletti Giacomo e Giovanni dormono la grossa, mentre il Maestro sprofonda nell’angoscia. Tutti fuggono quando la masnada dei giudei lo trascina via. È solo, davanti al sommo sacerdote Caifa, d’intorno i capi dei sacerdoti, gli scribi e gli anziani, determinati previe false testimonianze a metterlo a morte. Infine è condannato per blasfemia e sommerso da una gragnola di sputi, percosse e schiaffi . È solo, quando compare nel tribunale di Pilato, cui non sfugge che l’imputato non è perseguibile, ma che vacilla incalzato dai capi dei sacerdoti e dagli anziani. Invano, dietro raccomandazione della moglie, cerca di svicolare e propone l’alternativa di Barabba. Deve cedere al popolo sobillato e decreta un’ingiusta condanna a morte. Proverbiale la sua dissociazione col gesto di lavarsi le mani. È solo nel pretorio. Lo flagellano con metodo. La soldataglia lo deride come un re da burla: una corona di spine, uno straccio purpureo, una canna per scettro, con cui poi ne percuotono il capo, sputacchiandolo. È solo con il patibulum verso il Gòlgota, sia pure con l’aiuto di un cireneo angariato. Scherni e oltraggi degli spettatori risuonano attorno alla croce. Lo insulta perfino chi è crocifisso come lui. Solo, muore abbandonato dal Padre. La solitudine finale di Gesù non sorge dal titanismo di un individualista con la propensione al martirio. Gesù ha amato il dolce reame della terra e i suoi figli di cui ha voluto la compagnia. È l’amore per gli uomini che l’ha gettato nella condizione della solitudine. Gesù è l’uomo vero che né il tradimento di Giuda e la viltà dei discepoli, né gli umori oscillanti del suo popolo, né le prevaricazioni diversamente motivate di Caifa e Pilato distolgono dall’investitura messianica. Nessuna coalizione dei simili in umanità può trattenerlo dall’amore fino alla morte. Questa è l’incondizionata verità dell’uomo Gesù. Smaschera la pochezza, la miseria, l’insipienza e la menzogna dell’identità umana che ci ostiniamo a rivestire . Offre soprattutto un’esemplarità da imitare. Non c’è amore più grande che dare la vita per gli altri. È vera grandezza rinunciare alla felicità per garantirla agli altri. Nella compatta e sobria narrazione di Matteo che dischiude la Settimana Santa grandeggia il Dio che, per noi e in noi, ha deciso di essere un uomo lasciandosi stritolare dall’ingiustizia del mondo. Così amati da Dio, come non imitarlo? Imitatio Christi: desiderarla con i santi.