Seminario di studi su la lezione di Olivetti a Matera, riflessioni di Francesco Paolo Francione. Di seguito la nota integrale.
Emozioni strane e molteplici scompigliano l’animo dell’anziano cittadino materano sentendosi raccontare da una voce estranea, per quanto colta e raffinata.
Egli prova riconoscenza, poichè il profilo storico-sociale dell’ambiente della sua infanzia tracciato nella narrazione accademica, risulta particolareggiato, fino al punto da indurlo a vedere dettagli su cui mai, prima, si era soffermato; la sua identità, perciò, appare arricchita ma non alterata.
Si aggiunge un sentimento di strana gelosia che vorrebbe quasi impedire al dotto oratore di mettere naso nella sua caverna, quasi che, con sottile raggiro, fosse stato violato il suo diritto alla privatezza. Anche una leggera delusione fa capolino poiché si pretende di parlare della sua vita, ma lui non ritrova il filo del discorso e teme di perdersi nei meandri di un linguaggio complesso e specialistico.
L’anziano è più che mai persuaso che l’esistenza non può essere racchiusa in formule astratte, poichè gli sembra che evapori in una dimensione che trascende la realtà. Il vissuto è altra cosa dal racconto che se ne fa, sospinti da varie motivazioni, anche le più nobili, ma troppo esterne e finalizzate ad altro. E’ una descrizione densa che cede spazio all’ interpretazione che sovrasta i fatti fin quasi ad annullarli. Sicchè la storia individuale, la sua e quella di molti altri, appare disciolta in un tessuto coerente e scientifico in cui il materano non ritrova la sua anima.
Non lo spaventa la narrazione specialistica, quella che gli fa scoprire l’architettura partecipata, il pensiero di Olivetti, l’attività di Quaroni e le inchieste di Friedmann: è un racconto che lo affascina, perché ha voglia di indagare in profondità la storia della sua città; la narrazione che fa vibrare il suo animo, invece, è quella del contadino per il quale sono state costruite le nuove case e che teneva vivo il contatto con la campagna: è un mondo diverso dove scompaiono la fatica ela miseria, la prepotenza e il conflitto.Un mondo trasfigurato da un benevolo (o distratto!) occhio estetizzante cui si oppone anche il mito dell’infanzia che, per quanto costruito sulla spensierata inconsapevolezza, non esclude il ricordo dell’amarezza o della gioia degli adulti. Poiché in quegli anni c’erano nemici e avversari, pesanti conflitti che davano identità e storia alle persone e ai luoghi, e non sono scomparsi per la vittoria dell’uno su l’altro, ma perché il tempo ha ingoiato le loro ideologie squarciando altre e più tragiche forme di povertà che fanno dimenticare quelle nostre piccole di ieri.
L’ uditore attento avverte un certo fastidio per quel ritornello di Matera vergogna nazionale, perché da efficace e polemica battuta politica è divenuta, quella espressione, pietra miliare nella ricostruzione della storia della città, e sente l’umiliazione quasi fosse cucito sulle sue spalle l’abito della vergogna che per fortuna e subitamente può dismettere per indossare quello della festa, della capitale europea della cultura 2019, un momento propulsivo dello sviluppo culturale della città, i cui limiti vengono denunciati da rispettabilissime voci nella cittadina dialettica culturale.
Ha la sensazione che eccessiva attenzione venga rivolta al passato dal quale, peraltro, non si traggono le logiche conseguenze per il presente, sicchè la lezione di Olivetti, per quanto scandagliata in tutte le sue ramificazioni, resta disattesa e teorica, senza reali prospettive per il futuro.
E’ convinto, da quanto ha ascoltato, che l’architettura è una forma di scrittura e pensa, mortificato, che quel borgo, il più bel borgo rurale d’Italia, una pagina limpida, è stata scarabocchiata da ignoranza e superficialità, demagogia e illegalità.
Gli viene quasi naturale, perciò, sognare l’ombra di Olivetti in cattedra per richiedere, con tono pacato ma deciso, che gli venga restituita integra la semplicità urbanistica del borgo, con tutti i suoi presidi culturali, sociali e civili, che ne hanno fatto l’eccellenza e la giusta fama. Questa sì, sarebbe la più bella celebrazione del 70° anniversario della sua costruzione, perché senza quei presidii è segnata la via del progressivo degrado di un quartiere periferico su cui si continueranno a piangere lacrime di coccodrillo.
Non può essere creata la comunità di Olivetti, neppure se fossimo governati da Pericle redivivo, ma possono essere difesi con i denti e con le unghie quei valori che Olivetti comunica ancora oggi: la comunità contro l’individualismo, ildiritto contro la violenza, l’intelligenza contro la forza, il coraggio contro la rassegnazione, l’equilibrata integrazione dell’uomo con la natura perché l’ambiente fisico non sia nocivo.
La nuova pagina di storia che la giovane architettura potrebbe scrivere, rischia, anch’essa, d’essere imbrattata da una mano invisibile e potente, retorica e mendace?
L’anziano cittadino materano ricerca un equilibrio tra il racconto accademico e il vissuto esistenziale e prova, infine, un sentimento di serena accettazione dell’evolversi del tempo: per lui ottantenne che giocava bambino nei vicinati dei Sassi è difficile accettare l’evoluzione dei fenomeni sociali, comprendere il senso delle cose. Sa che involve Tutte cose l’obblio nella sua notte, ma vorrebbe che il suo disagio e il momentaneo disorientamento non si coagulassero in rancorosa e deprimente nostalgia.
Francione Francesco Paolo