Riceviamo e pubblichiamo una nota dell’associazione Adriano Olivetti di Matera in occasione del sessantesimo anniversario della morte di Adriano Olivetti. Di seguito la nota integrale.
L’eredità di Olivetti e il futuro di Matera
Nel sessantesimo della scomparsa di Adriano Olivetti è il caso di riflettere sull’eredità ideale di quel singolare “riformatore” italiano.
Ricordarlo, ripensare alle tesi del suo straordinario progetto costituzionale, ricollocarlo nel solco del movimento riformatore che ha attraversato la storia politica e culturale del secondo dopoguerra sarebbe per tutti noi una indubbia “lezione controcorrente”.
Far leggere ai nostri giovani l’Ordine politico delle Comunità sarebbe quanto mai opportuno perché in quel libro ci sono proposte che mantengono ancora oggi una forte attualità e validità, dato anche il ruolo che Olivetti ha avuto per lo sviluppo urbano e culturale di Matera. Quella materana è stata una vicenda emblematica dell’esperienza politico-progettuale di Olivetti.
La sua geniale intuizione e abilità organizzativa per un intervento complesso e innovatore nella simbolica Matera diventerà l’episodio forse più significativo della cultura urbanistica italiana del dopoguerra, e, nello stesso tempo, contribuirà a fare della nostra periferica cittadina meridionale, come scrisse Geno Pampaloni, una “delle piccole capitali della cultura contemporanea, un punto di riferimento obbligato per gran parte del dibattito culturale”, da quello sulla questione meridionale a quello sull’urbanistica, sul rapporto della città col suo paesaggio, sulla salvaguardia delle culture locali, fino ai temi della riforma agraria e dell’industrializzazione.
Come non ricordare che a quella iniziativa partecipò un nucleo di giovani locali (Albino e Leonardo Sacco, Marcello Fabbri, Pietro Ricciardi), che non si limitò ad affiancare studiosi ed esperti ma, condividendone i concetti fondamentali, si dispose a difenderla dalle immancabili opposizioni per utilizzarla come piattaforma di un duraturo impegno politico-culturale: così nasce nel 1954 “Basilicata”, giornale che si distinguerà per le battaglie sulla pianificazione urbanistica in tutta la regione, per decenni, anche dopo la scomparsa di Olivetti e la fine del Movimento Comunità. Il 2020 è anche l’anno della nuova tornata elettorale che dovrà eleggere il nuovo Consiglio Comunale di Matera. I manifesti e i programmi che già cominciano a circolare, spesso non colgono l’essenza del messaggio olivettiano che pure ha irrorato l’iniziativa politica e culturale degli anni ’50 del Novecento quando, appunto, politica, cultura e architettura furono i volani dell’utopia olivettiana e che proprio a Matera si tentò di rendere concreta.
Il ricorso alla pianificazione, i richiami alla dimensione architettonica e alla partecipazione comunitaria sono per Olivetti gli elementi imprescindibili per costruire un nuovo “modello di città e di vita urbana”. E’ allora possibile richiamare questi insegnamenti per proporre un modello di città più soddisfacente per Matera dopo il 2019?
E’ ancora possibile far riaffiorare dalle torbide panie degli interessi di pochi una “cultura della città” e parliamo della città fisica, che coinvolga seriamente la comunità in una logica che discuta sugli errori commessi e che indichi i correttivi per evitare che non vi sia via di scampo al destino urbano che rende invivibile il presente?
Qualche esempio concreto? E’ possibile correggere il così detto “piano casa”, messo in atto con spregiudicatezza dalla Regione Basilicata (unica in Italia insieme alla Liguria di Toti), che sta modificando vistosamente il volto della città alterando profili e morfologia di tessuti urbani storicizzati, avviando la città fisica verso processi inarrestabili di decadenza?
E’ possibile contenere e correggere quegli interventi di manomissione dell’edilizia dei quartieri (balconi e addizioni volumetriche) che stanno trasformando l’armonico assetto di quei “luoghi olivettiani” tanto cari alla comunità?
E’ possibile avviare una politica di modernizzazione della città senza che questa parola susciti appetiti irrefrenabili verso modelli importati e disorganici?
Olivetti ci ha insegnato che non bisogna temere la modernità, ma che al contrario essa va costantemente ricercata. Ma in questo nostro tempo il verbo della modernità viene spesso declinato nella maniera peggiore, inseguendo il miraggio dell’”effetto comunicativo” immediato ed euforico, mortificando le aspettative sociali per un modello urbano “di più lunga durata”.
La modernità, secondo Olivetti, va progettata e realizzata secondo le aspirazioni e la misura della comunità urbana (la realizzanda biblioteca di quartiere a Spine Bianche ne è un esempio) e non imposta da fenomeni di moda e di importazione, dunque una questione di “cultura”: politica e cultura, urbanistica ed architettura, dovranno camminare di pari passo per concorrere a costruire la “città nuova”, mai prima, però, di aver rinnovato le strutture che hanno rivelato la propria incapacità di soddisfare i bisogni dei cittadini.