Mercoledì 29 agosto sono stati celebrati a Matera nella Chiesa di Cristo Re i funerali della religiosa Maria Pia Nerino.
Di seguito l’intervento dello storico materano Gianni Maragno in memoria di questa grande donna che ha saputo onorare fino all’ultimo la sua vocazione di missionaria.
In memoria di Suor Maria Pia Nerino
Conobbi Suor Maria Pia sul finire degli anni ’80 dello scorso millennio, a Camerlata, frazione di Como, nota perché accoglie i visitatori con il Monumento alla Pila di Volta, che, forse per la sua materia, sembra sprigionare grande energia. La stessa vitalità che prorompeva da quattro suore, umili e anziane, che avevano allestito la loro dimora, a pochi metri da quella scultura, in quella che era stata un tempo una fabbrica di bambole. In quella piccola comunità viveva Suor Maria Pia Nerino che, già da molti anni, aveva lasciato la natia Matera con sua sorella, di due anni più giovane e religiosa anche lei – Suor Francesca Nerino –, scomparsa da poco in quegli stessi anni. Erano partite entrambe dalla Città dei Sassi per seguire la Serva di Dio Margherita Maria Guaini, costretta ad abbandonare, dopo molti sacrifici e non senza tristezza, la sede di Matera dell’Ordine, da lei stessa fondato, delle Suore Discepole di Gesù Eterno Sacerdote, per trasferirsi definitivamente a Nord; alla morte della Fondatrice, fu un’altra religiosa materana, che insieme alle due consorelle Nerino aveva condiviso sacrifici e impegno, Suor Maria Emanuela Iacovone, ad assumere l’incarico di Madre Generale.
In occasione di quell’incontro casuale, seppur non informato di incombenze e attività connesse al servizio della materana Suor Maria Pia, rimasi impressionato da come le suore di Camerlata, fragili nel fisico, si mostrassero decise nella fede e dolci nel carattere. Qualche giorno dopo, mentre ero in Piazza Duomo, a Como, scorsi in lontananza Suor Maria Pia, che dal lato opposto della Piazza si dirigeva verso l’entrata principale del Duomo. Era inconfondibile la sua andatura claudicante e traspariva la fatica che le costava dover camminare. Inizialmente la sua attenzione non si posò su di me, perché fu attratta da un mendicante, seduto in un angolo di parete di fronte al Duomo. Nonostante non fosse vicino, senza esitazione cambiò direzione e raggiunse l’uomo rannicchiato sul basolato della Piazza. Prese il borsellino, lo aprì, lo svuotò delle monete che vi erano contenute e, piegandosi con sottomissione verso l’uomo, gliele consegnò con dolcezza. Questo gesto non sfuggì a due signore che erano lì di passaggio, una di loro non potè trattenersi dal dire all’altra: guarda, guarda che bella la suora, loro vivono di elemosine, eppure non esitano a privarsi del poco che ricevono, per aiutare gli altri.
Fu il primo di una serie di insegnamenti che, a partire da allora, in ogni incontro anche fortuito, Suor Maria Pia Nerino ha umilmente impartito e dei quali farò per sempre tesoro.
L’ultima volta che la vidi era già molto ammalata ma non lo dava a vedere. Era nella casa di Via Stresa 11 a Milano, che lasciò a malincuore, perché la malattia non le consentiva più una vita autonoma. Volli farle una sorpresa e portai con me Vito Salinaro, un giovane materano, giornalista del quotidiano Avvenire, l’organo di stampa della Conferenza Episcopale Italiana. Lei fu molto felice di questo e insieme alle altre consorelle guardammo il documentario sul Santuario di Picciano, che avevo realizzato qualche tempo prima.
Nonostante nel corso degli anni ci fossimo visti abitualmente, capii che forse era giunto il momento che Suor Maria Pia aveva atteso per tutta la vita quello di poter finalmente congiungersi con il suo Sposo.
Gianni Maragno