Riportiamo di seguito il testo della meditazione d Monsignor Pino Caiazzo per la V domenica di Quaresima.
In tutte le nostre realtà parrocchiali la data della festa in onore della Madonna o del Santo Patrono diventa un’occasione, soprattutto per quanti si trovano lontani per motivi di lavoro, di studio o altro, per ritornare a casa e stare insieme a parenti e amici.
Il brano del Vangelo odierno ci descrive una situazione analoga. Siamo in prossimità della celebrazione della Pasqua. Gli ebrei che ritornano a Gerusalemme sono tanti. Ormai hanno una nuova nazionalità e parlano anche una nuova lingua. Ma si sentono fortemente ebrei: non rinuncerebbero mai a questa identità. Anche essi sono saliti per il culto a Gerusalemme, ma non vanno al Tempio, perché attratti da Gesù. Alcuni esegeti spiegano che sono greci, quindi pagani e politeisti.
L’evangelista ci dice che si rivolgono a Filippo con la richiesta di vedere Gesù. Non è un caso: Filippo porta un nome che ha origini greche e proviene da Betsaida di Galilea dove risiede una forte presenza di ebrei/greci. Allo stesso modo Filippo si rivolge ad Andrea: anche questo apostolo ha un nome greco. Che cosa si siano detti, dal momento che informano Gesù della richiesta, non lo sappiamo. Di una cosa siamo certi, che Gesù comincia a parlare dicendo: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato».
Di quale gloria si tratta? Filippo e Andrea avranno pensato che fosse arrivata l’ora che Gesù fosse conosciuto anche in Grecia? In realtà la risposta la troviamo nella lettera agli Ebrei (seconda lettura): «Cristo, nei giorni della sua vita terrena, offrì preghiere e suppliche, con forti grida e lacrime, a Dio che poteva salvarlo da morte e, per il suo pieno abbandono a lui, venne esaudito».
“Nei giorni della sua vita terrena”, espressione che mette di più in risalto l’umanità del sacerdote, è da intendersi con: nei giorni della sua carne. Gesù è veramente un uomo in mezzo agli uomini di cui condivide fragilità e miserie. Diversamente non potrebbe “cum-patiri”.
L’autore della lettera agli Ebrei sottolinea come l’umanità di Cristo è fortemente segnata dalla sua fragilità, che trova il culmine nel momento dell’agonia e della morte. Dio trasforma in esaltazione di gloria la morte di Gesù, che si è abbandonato alla sua volontà in un atto di assoluta obbedienza. Gli esegeti ci dicono che i termini greci usati sono quasi un gioco di parole: ascoltare dal basso (obbedire) e ascoltare dall’alto (esaudire).
Si capisce, allora, che Gesù non vuole semplicemente farsi conoscere (vedere il suo volto), bensì rivelare molto di più attraverso un’immagine che mostri la sua vera identità. Usa l’immagine del seme che, caduto per terra, muore per portare frutto. Gesù è il chicco di grano dal quale viene fuori il pane. Che profezia! Gesù stesso è il pane per la fame del mondo.
Quest’immagine ci aiuta a capire il vero senso dell’incarnazione di Gesù, della sua missione in mezzo agli uomini: dare la sua vita per dare la vera vita a tutti noi. Il chicco di grano, dopo qualche giorno che sta nelle viscere della terra, scoppia, muore e dal di dentro esce la vera vita, il germoglio che porterà frutto. Il seme si trasforma in altro seme più abbondante.
Ognuno di noi è una ricchezza che non sempre riesce ad esprimersi durante la vita terrena. La tristezza, l’angoscia, il dolore e la paura della morte distruggono non solo il corpo di chi vive il suo “dies natalis”, ma attanagliano interiormente anche coloro che restano su questa terra. Eppure, dice Gesù, ad imitazione della natura, la morte è esplosione della vita. Ciò che sembra la fine di tutto, in realtà è il vero inizio.
«E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me». Diceva questo per indicare di quale morte doveva morire. La morte in croce di Gesù diventa attrazione per gli uomini se conquistati dalla pienezza del suo amore. La forza dell’amore ha sempre il sopravvento sulla morte. Cristo, attraverso il suo gesto d’amore, risorgendo, ha distrutto per sempre la morte.
Impegno. Sono tantissime le persone che ci chiedono, oggi, che Gesù sia visibile nella nostra vita. In questa domenica, pertanto, volgeremo lo sguardo verso la porta centrale della nostra chiesa parrocchiale che, per l’occasione, se non fa freddo e non tira vento, potrebbe rimanere aperta per uscire e portare l’Eucaristia nella vita di tutti i giorni. Sosteniamo le Caritas Parrocchiali, aiutiamo la mensa Caritas “Don Giovanni Mele”, dove tutti i giorni una settantina di persone trovano un pasto caldo. A turno, le parrocchie della città, potrebbero farsi carico del pranzo e del servizio nella stessa mensa.
† Don Pino