In vista del 1° maggio, festa di san Giuseppe lavoratore, presso la Cooperativa La Traccia nei Sassi di Matera, si è svolta una Veglia di preghiera, organizzata dall’Ufficio di Pastorale sociale e del lavoro con la partecipazione dell’Arcivescovo Monsignor Pino Caiazzo. Di seguito il testo integrale del messaggio alla veglia con il mondo del lavoro dell’Arcivescovo.
Messaggio alla veglia con il mondo del lavoro
Una parola di gratitudine a voi che avete accolto questo invito.
Vi porgo il saluto benedicente da parte dell’Arcivescovo a cui tanto sta a cuore il destino dei giovani, costretti a emigrare, e si fa carico del disagio in cui versano tanti in cerca di lavoro. Incoraggia le imprese che lottano nel superare questo prolungato tempo di crisi e augura alle imprese che funzionano bene di continuare a crescere mediante un’equa distribuzione degli utili a favore di altri che potrebbero lavorare.
La questione del lavoro ci interpella come lavoratori, come cittadini e come credenti. Essa diventa sempre più stringente perché per molti, specie per i giovani, il lavoro manca e perché quando c’è è spesso mal retribuito e vissuto solo come mezzo di sostentamento e poco come mezzo di elevazione umana e sociale.
Dicono i nostri Vescovi in vista del 1° maggio:
“C’è prima di tutto una questione di giustizia. Se il lavoro oggi manca è perché veniamo da un’epoca in cui questa fondamentale attivitàumana ha subito una grave svalorizzazione. … Non sarà possibile nessuna reale ripresa economica senza che sia riconosciuto a tutti il diritto al lavoro e promosse le condizioni che lo rendano effettivo (Costituzione Italiana, art.4). Combattere tutte le forme di sfruttamento e sperequazione retributiva, rimane obiettivo prioritario di ogni progresso sociale. …
C’è poi una seconda questione legata al senso del lavoro. Il lavoro, infatti, ha una tale profondità antropologica da non poter venire ridotto alla sola, pur importante, dimensione economica. Il lavoro è, infatti, espressione della creatività che rende l’essere umano simile al suo Creatore. Secondo la tradizione cristiana, il lavoro è sempre associato al senso della vita; come tale esso non può mai essere ridotto a “occupazione”. E’ questo un tema quanto mai centrale oggi di fronte alla sfida della digitalizzazione che minaccia di marginalizzare l’esperienza lavorativa, oltre che causare la perdita di molti posti di lavoro”.
Come ogni attività umana anche il lavoro è soggetto alla logica del peccato ma è stato redento da Cristo il quale facendosi uomo “ha lavorato con mani di uomo” e morendo e risorgendo a vita nuova ha ridato al lavoro il posto che aveva all’inizio della creazione: collaborazione all’opera creatrice di Dio e custodia e incremento dei beni della creazione.
In quanto lavoratori, oltre al senso di gratitudine verso il Signore, perché attraverso il lavoro possiamo realizzarci come persone e provvedere al sostentamento di coloro che ci sono affidati, abbiamo la responsabilità di vivere il lavoro con la coscienza di fare fino in fondo il proprio dovere e di contribuire così al bene comune. Lo dobbiamo anche a tutte quelle persone che non hanno lavoro e vengono defraudate dalle inadempienze di coloro che disprezzano o boicottano il lavoro creando disservizi nella società.
In quanto cittadini di uno stato fondato sul lavoro o meglio sulla dignità della persona che con il lavoro realizza le proprie aspirazioni al bene e mette in atto le proprie attitudini, dobbiamo sentire forte la responsabilità perché il lavoro non manchi a nessuno e sollecitare la politica e le istituzioni a creare le condizioni perché ci sia lavoro per tutti. Vivere il senso della cittadinanza come partecipazione e interesse per la vita delle comunità e dei singoli cittadini: partecipazione che non si esprime solo attraverso il voto ma anche conoscendo i problemi e dibattendoli con altri cittadini o nelle associazioni. Se non è compito della politica dare direttamente il lavoro è suo compito invece di creare le condizioni, di favorire lo sviluppo, di liberare dalle grinfie di un’economia che uccide e che esclude, che aumenta la ricchezza di pochi e assiste inerme all’aumento smisurato dei poveri.
In quanti credenti abbiamo il compito di educare al senso umanizzante del lavoro. Con il lavoro l’uomo diventa più uomo perché entra necessariamente in relazione con altri con i quali è chiamato a condividere il peso e il frutto del lavoro. Abbiamo il compito di educare al senso della dignità del lavoro, raccontando la bellezza del lavoro creativo e della sua utilità per il bene di tutti. E’ bello poter raccontare ogni giorno ai propri figli: ho collaborato a migliorare il mondo, ho contribuito a edificare relazioni nuove, ho aiutato la società a essere più ordinata… E’ bello inoltre potersi riposare, riscoprire la domenica come tempo per ritemprare le proprie energie fisiche e spirituali, avere spazio e tempo da dedicare alla cura della propria persona, soprattutto della famiglia e per le relazioni sociali e di solidarietà.
La parabola dei talenti cha abbiamo ascoltato all’inizio della veglia ci invita ancora a raccogliere alcune sollecitazioni per oggi e qui del nostro territorio: la necessità di affrancarsi dalla mentalità assistenzialista e della raccomandazione, per scommettere di più sui propri talenti e sulla risorsa che ogni persona costituisce per se stessa e per gli altri; liberarsi dall’individualismo che fa rinchiudere in se stessi e fa percepire l’altro come un concorrente o un nemico per aprirsi di più alla cooperazione e al lavoro in rete; superare e vincere la paura del rischio (servo che nasconde la moneta) e riscoprire il senso della fiducia in Dio e negli altri; imparare a valorizzare le risorse del territorio e a sviluppare la creatività e l’innovazione…
Il lavoro finalizzato solo al profitto rende l’uomo schiavo, incentiva lo sfruttamento, le ingiustizie e la corruzione.
“Il lavoro ci dà dignità, e i responsabili dei popoli, i dirigenti hanno l’obbligo di fare di tutto perché ogni uomo e ogni donna possano lavorare e così avere la fronte alta, guardare in faccia gli altri, con dignità. Chi, per manovre economiche, per fare negoziati non del tutto chiari, chiude fabbriche, chiude imprese lavorative e toglie il lavoro agli uomini, compie un peccato gravissimo”. Lo ha detto papa Francesco, al termine dell’udienza generale di mercoledì 15 marzo. “Le persone – commenta ad Avvenire l’arcivescovo di Taranto mons. Filippo Santoro, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro e del Comitato organizzatore delle Settimane sociali – non sono oggetti e non possono essere trattate come merci. E se il criterio supremo che muove l’economia è la tirannia del dio denaro, una conseguenza inevitabile è appunto la cultura dello scarto”. “Per cui Francesco non esagera affatto, quando usa il superlativo assoluto ‘gravissimo’”.
Quale speranza per i nostri giovani e per il nostro territorio?
Che ognuno si svegli e cominci ad apprezzarsi per ciò che è, senza presunzione e con l’umiltà di chi ha tutto da imparare;
che si ricominci ad amare di più la propria terra e anche la terra per l’agricoltura e che si facciano valere di più i propri diritti;
che si abbandoni la tentazione del guadagno facile e sicuro e si investa di più nell’innovazione e si punti sulla qualità;
che rinasca la coscienza del dovere e non solo dei diritti, del bene comune più che di quello individuale;
che ci si prenda maggiormente cura del creato come fonte di salute, di benessere e di investimenti eco compatibili.
Preghiamo affinché il Dio della speranza renda possibili i progetti e le aspirazioni dei nostri giovani; dia pace e serenità alle nostre famiglie; fiducia, coraggio e la nostra solidarietà a chi è senza lavoro. Concludo con le parole del beato Paolo VI a Nazareth: “Infine impariamo la lezione del lavoro. Oh! dimora di Nazareth, casa del Figlio del falegname! Qui soprattutto desideriamo comprendere e celebrare la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana; qui nobilitare la dignità del lavoro in modo che sia sentita da tutti; ricordare sotto questo tetto che il lavoro non può essere fine a se stesso, ma che riceve la sua libertà ed eccellenza, non solamente da quello che si chiama valore economico, ma anche da ciò che lo volge al suo nobile fine; qui infine vogliamo salutare gli operai di tutto il mondo e mostrar loro il grande modello, il loro divino fratello, il profeta di tutte le giuste cause che li riguardano, cioè Cristo nostro Signore”.