E’ Pasqua! Di seguito le omelie pronunciata de Monsignor Pino Caiazzo nella veglia di Pasqua e durante la Santa Messa di Pasqua nella Cattedrale di Matera.
Santa Messa di Pasqua, omelia di Monsignor Pino Caiazzo
Carissimi fratelli e sorelle, voi tutti che ci seguite da casa attraverso il servizio di TRM, autorità presenti, confratelli nel sacerdozio, Diaconi, religiose, fratelli della casa circondariale di Matera dove stamattina alle 9.00 ho celebrato la Santa Messa e che in questo momento mi state ascoltando, Santa Pasqua a tutti!
Come abbiamo ripetuto nel Salmo responsoriale: “Questo è il giorno che ha fatto il Signore: rallegriamoci ed esultiamo”.
La Chiesa da sempre ha affidato ai segni e ai gesti, che comunicano più delle parole, i contenuti biblici e teologici. C’è una teologia che si studia e si insegna dalle cattedre e c’è una teologia più familiare con il sapore e il gusto che i nostri cari riuscivano a trasmetterci attraverso gesti, luoghi e dolci.
Da piccoli, per esempio, abbiamo imparato che il lunedì dopo Pasqua, dell’Angelo, si andava “a passare l’acqua” come famiglia o più famiglie insieme. Terminologia che pian piano si è trasformata in “pasquetta” fino ad assumere il significato di “scampagnata” tra gruppi di amici.
Eppure in quell’espressione “passare l’acqua” c’è il richiamo forte al senso vero della Pasqua. Noi ragazzi, non vedevamo l’ora di partire con il carretto ed arrivare in piena campagna. Contatto con la natura che, nel tempo pasquale, esplode di vita, i colori si intrecciano in un ricamo magistrale, le spighe di grano incominciano a far capolino, con il canto degli uccelli come melodia di uno spartito non scritta da mani d’uomo.
La vita che esplode anche là dove noi uomini siamo capaci di procurare morte attraverso rifiuti di ogni genere: la vita che esce dal ventre della terra è più forte della morte che spesso si semina. La terra fecondata dall’acqua piovuta dal cielo si gonfia fino a far sentire il gemito di vita cullato dal vento che spira sui campi di grano fino a formare come delle onde leggere e soavi.
E noi ragazzi a ricercare un piccolo corso d’acqua o una pozzanghera. Bisognava saltare da una parte all’altra. Non a caso la domanda che alla fine veniva fatta era questa: “hai passato l’acqua?” Bisognava necessariamente trovare questa fonte d’acqua e fare questo passaggio per non tornare a casa senza aver compiuto questo gesto essenziale.
Questo salto, ci veniva spiegato, ci ricorda che la Pasqua è passaggio da una forma di vita a un’altra. È un salto che ci proietta verso una vita più bella. L’acqua ci ricorda il passaggio del Mar Rosso, ma ci rimanda direttamente al nostro Battesimo, l’inizio della vita nuova che ci ha fatti diventare figli di Dio.
Un altro segno tipico delle nostre terre è il dolce di Pasqua, chiamato la pannarella, in dialetto “Pannarèdd”, è il più classico dei dolci materani tipici della Pasqua. Ha la forma di un cestino (che in dialetto si dice appunto “Panàr”), ma anche quella di gallina per le bambine e di cavallo per i bambini. La caratteristica fondamentale è l’uovo che viene posto al centro del dolce fatto cuocere nel forno. Quest’uovo vuole indicare la Resurrezione di Gesù Cristo.
Passare l’acqua senza il “Pannarèdd” non è Pasqua! Chi in realtà passa è proprio Gesù che vince la morte risuscitando.
Nella prima lettura che è stata proclamata S. Pietro sintetizza il senso e il significato della Pasqua che noi celebriamo con queste parole: “Essi (i Giudei) lo uccisero appendendolo a una croce, ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che si manifestasse, non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti. (Gesù) ci ha ordinato di annunciare al popolo e di testimoniare che egli è il giudice dei vivi e dei morti, costituito da Dio”.
Il brano del vangelo mi riporta all’immagine iniziale del movimento pasquale delle famiglie. Immagino anche tra i nostri Sassi, di buon mattino, movimenti di muli, carretti, schiamazzi di bambini in festa per questo uscire insieme in campagna. Un andare che faceva incontrare tanti amici, vicini, parenti, coscienti tutti quanti che non c’è una tomba da visitare o un corpo morto sul quale piangere. C’è solo il profumo dell’amore che si sente nell’aria che riempie la vita.
Maria di Magdala, come le altre donne, dovevano profumare con gli aromi il corpo di Cristo. Ma quel corpo era stato già riempito del profumo di Dio. L’amore non può essere sepolto e non può rimanere nella tomba. La forza e la potenza dell’amore sbriciolano le resistenze tombali di quanti vorrebbero soffocare la vita, di coloro che si sentono padroni della vita degli altri sfruttando le loro debolezze, di quanti seminano paura e terrore attraverso ricatti violenti.
Non è possibile chiudere o soffocare l’amore. Gesù è morto e risuscitato per liberare l’amore dal servilismo, dall’uso e getta di una cultura che tenta di limitarlo al semplice godimento. Non è possibile trattenere la forza dell’amore creativo che rimanda all’inizio della creazione. Si, l’amore crea, risorge sempre, esprime la fecondità della vita che si dilata oltre il dolore, oltre le ingiustizie, oltre il sangue versato.
Una storia che Maria Maddalena trasmette ai discepoli e che Pietro e Giovanni accolgono perplessi ma nello stesso tempo sentono di essere attratti da quell’amore divino che li ha posseduti. Corrono verso il luogo della morte che odora di vita. Toccano con mano i segni della vittoria del Maestro, si riempiono gli occhi di luce divina, sentono nel petto che il cuore arde intensamente perché chiamati ad essere annunciatori dell’avvenimento più grande e straordinario che ci sia mai stato nella storia umana che diventa compimento della storia della salvezza.
Il correre della Maddalena, di Pietro e Giovanni, diventa quello delle nostre famiglie tra i prati e dirupi della Murgia, dimentichi dei torti e delle miserie umane e ricchi, per questo giorno pasquale, di gioia, di pace, di armonia, di condivisione.
È la Pasqua del Signore che diventa già la nostra Pasqua nell’attesa della sua venuta, come diciamo nella liturgia eucaristica.
Oggi c’è bisogno di correre portando lo stesso odore dell’amore nei luoghi dove sembrerebbe che le tenebre prendano il sopravvento sulla luce, le pietre tombali sull’armonia familiare, sulla vita che con tanta difficoltà viene fatta nascere e spesso annientata.
C’è bisogno di entrare nei luoghi della solitudine e di sofferenza (case per anziani e ospedali) facendo toccare con mano che Cristo è realmente risorto con gesti concreti che riempiono quei vuoti di vita, di luce quel buio di morte interiore.
C’è bisogno di entrare nelle aziende dove i cancelli rischiano di essere serrati chiudendo così la speranza di tante famiglie che vivono l’apprensione per il loro futuro. Lo stare accanto e camminare insieme per difendere ciò che è sacrosanto: il diritto al lavoro! Pasqua significa che Cristo vuole spalancare la speranza contro ogni forma di progettualità che non sia seria e duratura.
C’è bisogno di entrare nei luoghi dove la speranza non muore perché non può e non deve morire. In quelle case famiglia dove l’amore diventa passione per l’altro; nelle case di recupero per tossicodipendenti dove la fragranza della vita è più forte di qualsiasi fetore di morte.
C’è bisogno di entrare in quelle mense sempre aperte per trovare un posto e un pasto caldo, dove i volti s’incontrano scoprendo di essere tutti parte della stessa umanità oltre il colore, la razza, la religione. Mense dalle porte sempre aperte perché la forza dell’amore disubbidisce a chi vorrebbe chiuderle.
C’è bisogno di fare meno pubblicità e correre di più per portare il lieto annunzio della Risurrezione che si trasmette per contatto e non a forza di parole spesso e volentieri blaterate inopportunamente.
C’è tanto bisogno di questo profumo. Il Vangelo di oggi conclude con questa descrizione: “Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti”.
Tutto nella tomba è ritornato ordinato: i teli, il sudario, avvolti e piegati. Non ha più l’aspetto di un luogo di morte, c’è solo essenza di vita da respirare e che rianima quanti si lasciano attrarre per uscire all’alba di una nuova giornata e scorgere che anche oggi la luce sta vincendo le tenebre, i colori dei prati diventano sempre più intensi, il sole che sorge si alza nel cielo e il suo calore riscalda l’armonia della vita.
Celebrare la Pasqua, allora, vuol dire “passare l’acqua”, mangiare il “Pannarèdd” con l’uovo della Risurrezione e sentire dentro la forza della vita che ci mette in movimento facendoci entrare in tutti i luoghi dove l’umanità viene mortificata, ma anche dove la stessa umanità viene promossa e fatta crescere dalla tempistica dell’amore che non ha frontiere.
Auguri a tutti, carissimi! Cristo è risorto! È veramente risorto!
Veglia di Pasqua, omelia di Monsignor Pino Caiazzo
Carissimi, mi porto dentro un bellissimo ricordo della notte di Pasqua. Quando ero bambino, al suono delle campane che annunciavano la Risurrezione, la mia cara mamma svegliava noi figli per annunciarci che Gesù Cristo era risorto! Ma non bastava questo brusco risveglio: batteva due coperchi delle pentole tra loro, in armonia con le campane girando per tutta la casa!
Una teologia spicciola, casalinga, alla portata di tutti! Piccoli riti che hanno trasmesso a me, alle mie sorelle, alla mia generazione il senso della Risurrezione di Gesù. Eppure mamma aveva studiato fino alla quinta elementare e papà era analfabeta.
Benedette mamme che non avevano il tempo nemmeno per lamentarsi per le tante cose che ancora in casa non c’erano, incominciando dall’acqua corrente, dall’energia elettrica che spesso e volentieri mancava, per cui si ricorreva al lume a petrolio!
Si, benedette mamme, che impregnate del sacro, parlavano con la danza, il suono, il canto che diventavano armonia in tutti i momenti della giornata: senza sosta, sempre a lavorare ma con il sorriso della Pasqua impresso sui volti!
La teologia della Risurrezione di Cristo, come le donne di buon mattino al sepolcro, ce l’hanno saputa trasmettere nell’ordinario della quotidianità. Non era mai banale o formale l’augurio di Pasqua: era realmente annuncio di vittoria di Cristo sulla morte! Vittoria sulla tristezza, sul lamento, sulla depressione, sulle lacrime che, come pioggia caduta dal cielo, irrigano e fecondano la nostra esistenza.
Come le donne del vangelo che, alle prime luci dell’alba, si recarono al sepolcro, per le nostre mamme ogni mattina è stata sempre un’alba di risurrezione, anche nei momenti di dolore, di stanchezza, di malattia, di freddo o caldo. L’alba della risurrezione ci è stata raccontata e annunziata non con belle frasi ma con la vita capace di esprimere questo senso di vittoria su ogni forma di morte.
Nostalgia del passato? Forse, ma non penso. Sono sicuro che sono cambiate le modalità ma in quante famiglie cristiane anche oggi si celebra realmente la Pasqua del Signore!
Sono storie dei nostri giorni che si vivono nelle nostre case, sui posti di lavoro, in giro per il mondo. Storie di vittoria di Cristo sulla morte, sul dolore, sulla disperazione. Una forza straordinaria, che non viene dall’uomo ma da Dio, fa rotolare la naturale pietra tombale che la vita impone, scrivendo pagine di risurrezione riconosciute tali solo da chi, nell’impotenza le ha vissute accanto e ne ha fatto tesoro.
Penso alla storia della piccola Mary di Scanzano Jonico: l’amore di mamma e papà insieme all’intera famiglia ha contagiato chiunque si è recato in quella casa. La tomba del sepolcro nulla ha potuto contro la forza della vita vittoriosa in Cristo Gesù.
Come dimenticare la giovane mamma, Lucia, di Marconia, partita da questa terra verso gli spazi infiniti dell’eternità con quel sorriso smagliante che ha illuminato quanti le stavano vicini fino all’ultimo respiro! In una videochiamata, mi ha detto, svegliandosi come d’incanto dal torpore del sonno della morte: “non ho paura, sono pronta” e subito dopo ha chiuso gli occhi a questa vita per riaprirli per sempre a contemplare la luce eterna.
Uno dei primi ammalati che ho incontrato, venendo a Matera, è stato Vincenzo, ammalato di SLA. Giovane papà capace di parlare con gli occhi e di infondere coraggio. Quanta pace! Nonostante il dolore e il vuoto, ha lasciato una scia di profumo di vita che hanno saputo raccogliere quanti l’hanno conosciuto, soprattutto la moglie, i figli e familiari tutti.
L’elenco di storia di vittoria della vita sulla morte sarebbe lungo ma non posso dimenticare certamente il giovane Lazzaro di Metaponto dove la fede dei suoi genitori, nonostante il grande dolore e il vuoto che un figlio può lasciare, stanno trovando appoggio alla croce gloriosa di Cristo rendendoli testimoni di vita. O il giovane papà Francesco, di Matera, che, incontrando in modo nuovo il Signore nella sua malattia, ha saputo lasciare ai suoi giovanissimi figli e a sua moglie una grande testimonianza: è possibile affrontare la malattia e la morte abbandonandosi completamente tra le braccia misericordiose di Dio.
Giovani, uomini e donne pronti a seguire Cristo fino in fondo. Testimonianze scritte nel libro della vita consegnato a noi perché continuiamo a leggere e meditare come sia vera la storia di Cristo che oggi continua a vincere sulla morte.
La pietra sepolcrale, che sigilla per sempre nel buio senza uscita quella carne che ritorna alla terra, ancora una volta viene fatta rotolare dalla certezza che il Dio di Gesù Cristo distrugge la morte e ci apre alla speranza della Risurrezione.
Ciò che per tanti è la fine di tutto, per noi cristiani è l’inizio vero di ogni cosa. Il cattivo odore della morte lascia il posto al profumo di vita nuova che in Cristo noi riceviamo: in lui siamo più che vincitori!
Celebrare la Pasqua significa, allora, cogliere il passaggio di Dio oggi nella storia degli uomini per rianimarli dallo sconforto, dalla rassegnazione, dal pessimismo che spesso chiude alla speranza del cambiamento. Nessuno di noi potrà vivere l’autentico messaggio della Pasqua se non sente la certezza che Cristo oggi attraversa la sua vita.
Faccio mia una frase del compianto Mons. Antonio Riboldi, vescovo di Acerra, che diceva: “Voler cancellare le impronte di Dio tra noi – anche oggi – è cancellare l’alito di Vita di Dio in noi”.
Impronte che sono evidenti e sulle quali noi camminiamo uscendo dal buio della storia per tracciarne altre perché le nuove generazioni possano percorrerle e tracciarne ancora altre. È la storia della salvezza che ci fa sentire l’alito di Dio che ci possiede rimettendoci in piedi, per camminare, in una semina di vita, tra i solchi della terra tracciati con l’aratro della fede, il vomere della speranza, per arricchire la messe della carità. Immagine del passato capace di cogliere che anche oggi Gesù continua ad entrare nei loculi della vita per tirare fuori quanti hanno perso il gusto e la bellezza del vivere e tornano a respirare l’alito di Dio.
Quando perdiamo una persona cara, il vuoto che lascia è incolmabile. Lo diciamo e soprattutto lo sperimentiamo. L’amore ci porta, come le donne che si recano al sepolcro, nel luogo dove il corpo si trova per sfiorare con la mano e lo sguardo quella lapide sempre più fredda. Eppure compiamo un gesto importante: poniamo dei fiori, lasciamo accesa una lampada. Sono il segno della bellezza e del profumo del Paradiso, segno della luce eterna che splende per sempre.
Ma c’è un passaggio più importante nella celebrazione della Pasqua. Non è desiderando la morte o chiudendosi in un mondo di morte la condizione che favorisce la pace nella vita eterna. La vita va comunque vissuta ritrovando entusiasmo, voglia di esserne protagonisti. Non possiamo cercare tra i morti colui che è vivo. Sono esattamente le parole dei due uomini, presumibilmente angeli, alle donne doppiamente disperate: perché il loro maestro e Signore è stato ucciso e perché adesso non hanno un luogo e un corpo su cui piangere.
Noi non poniamo la nostra speranza in un luogo, per quanto sacro e importante possa essere, ma in quel Dio che si è fatto uomo e che ha infranto le rocce della morte, riempiendo di luce i volti segnati dal dolore, dall’angoscia. È la luce del Cristo risorto che ridà colore alla vita, sapore alla quotidianità, forza nelle tribolazioni, speranza nelle delusioni.
Questa nuova consapevolezza ridona energia alle donne che ritornano nel cenacolo per annunciare quanto hanno visto e sentito ma soprattutto quanto stanno vivendo: se prima piangevano di dolore, ora le lacrime hanno il sapore di una commozione piena di gioia.
È l’esperienza che vive Pietro che, nonostante sia molto perplesso da quanto le donne hanno raccontato, recandosi al sepolcro insieme a Giovanni e trovando solo i teli, prova stupore e il suo cuore si riempie di gioia. Sperimenta così l’armonia del compimento delle promesse, la melodia del canto della vittoria. Quanto Gesù ha loro insegnato ora si è compiuto. Lo comprendono solo alla luce di quanto hanno sentito, visto e toccato.
Non si parla del Risorto perché altri ne parlano. Solo chi l’ha realmente incontrato e sa raccontare con la propria vita quanto il Signore ha fatto per lui, potrà dire che la sua testimonianza è vera. Non a caso nell’Epistola S. Paolo, scrivendo ai Romani, ci ha detto: “Ma se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con lui, sapendo che Cristo, risorto dai morti, non muore più; la morte non ha più potere su di lui. Infatti egli morì, e morì per il peccato una volta per tutte; ora invece vive, e vive per Dio. Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio, in Cristo Gesù”.
In questa Santa notte abbiamo la gioia di celebrare i sacramenti dell’iniziazione cristiana (Battesimo, Cresima ed Eucaristia): questi sei Catecumeni si sono preparati nelle loro comunità parrocchiali attraverso un serio cammino e hanno alimentato sempre più il desiderio di diventare cristiani.
Carissimi catecumeni, fra poco sarete battezzati: entrerete a far parte di questa grande famiglia che è la Chiesa e diventerete figli di Dio, quindi nostri fratelli. Insieme a voi crediamo nel Cristo che ha distrutto la morte. Nel fonte battesimale, nuovo Mar Rosso, morirà il vostro peccato. Dall’acqua del Battesimo nascerete e risorgerete a vita nuova. Sarete unti di Spirito Santo con l’olio profumato del Crisma per essere nel mondo il profumo di Cristo.
Vi accosterete alla mensa eucaristica nutrendovi dell’unico pane, cibo di vita eterna, e bevendo all’unico calice, contenente il sangue di Cristo. Voi stessi sarete il Corpo di Cristo.
Cari giovani, siate testimoni del Risorto. Con voi ringraziamo il Signore che provvede a generare, per mezzo della Chiesa, nuovi figli. Per voi preghiamo perché siate capaci di mantenervi fedeli alle promesse fatte durante gli scrutini e i diversi passaggi.
Ci affidiamo al sostegno di Maria, Madre del dolore e della risurrezione, aprendoci sempre più a un’unica certezza: Dio è fedele sempre e non tradisce mai l’amore che prova ognuno di noi.
E allora con gioia e forza, questa notte diciamo: Cristo è Risorto! È davvero Risorto!
Amen.