“La violenza sulle donne rappresenta una situazione radicata e diffusa in Italia, ha natura strutturale e trasversale e si basa su rapporti di forza storicamente disuguali tra i due sessi. Le radici stanno nella natura patriarcale della nostra società, con norme sociali, stereotipi, ruoli prestabilitiche sono interiorizzati: possesso, controllo ossessivo, restrizione delle libertà della donna. Quindi prima di arrivare alla violenza fisica la donna subisce violenza psicologica ed economica, subisce uno stato di soggezione e controllo”.
E’ l’incipit del pensiero di Margherita Perretti, presidente della Commissione Regionale Pari Opportunità.
“La Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013 – ricorda la Presidente della Crpo – chiede espressamente di intervenire per contrastare stereotipi e sessismo, atteggiamenti e comportamenti nei quali affonda le sue radici la violenza contro le donne.Il GREVIO, nel suo primo rapporto sull’Italia, sottolinea, tra le raccomandazioni, la necessità di adottare soluzioni coordinate che coinvolgano tutti gli attori interessati, Istituzioni, centri antiviolenza, case rifugio. Occorre un profondo cambiamento culturale – sottolinea Perretti – che deve partire dall’infanzia e dalla scuola, bisogna lavorare in modo organico, coordinato e programmato, evitando azioni frettolose dettate dall’emergenza.Ogni tre giorni una donna è vittima di femminicidio e il 78 per cento degli omicidi avviene tra le mura domestiche: dati estremamente allarmanti ed in netto aumento dall’inizio del periodo pandemico”.
“Infatti, durante il lockdown – specifica Perretti – c’è statoun netto incremento dei casi di violenza domestica: l’isolamento, la convivenza forzata, le restrizioni alla circolazione, la precarietà socio-economica hanno comportato per le donne ed i loro figli il rischio di una maggiore esposizione alla violenza domestica. In particolare, la prolungata condivisione dello stesso spazio abitativo, ha non solo aumentato gli episodi di violenza, ma causato un loro aggravamento.E’ cambiata – aggiunge – la raffigurazione della violenza: negli anni ’90 aveva l’immagine dello stupro che avveniva in strade solitarie, spesso per mano dello straniero, casi che esistono ancora, ma sono una minoranza; adesso l’immagine della violenza si identifica con le mura domestiche”.
“Dai dati della rete DIRE – riferisce Margherita Perretti – si rileva un aumento dell’80 per cento delle chiamate ai centri antiviolenza da marzo a maggio rispetto all’anno precedente.Sono invece diminuite le denunce in Questura. Perché tantissime donne non denunciano? Certamente per mancanza di indipendenza economica e presenza dei figli, per molte è impossibile anche solo immaginare dove potersi trasferire,molte tentano anche di superare il problema con la separazione. E poi, spesso, le donne subiscono un processo in tribunale o da parte dei media, che le rende vittima una seconda volta, la cosiddettavittimizzazione secondaria.Ai media è richiesta una comunicazione, una narrazione deontologicamente corretta e non lesiva della dignità delle donne. Troppo spesso il racconto della violenza di genere si focalizza su aspetti che creano attenuanti o giustificazioni per il suo autore. Eppure,il 25 novembre del 2017, fu varato dalla CPO della FNSI e GIULIA Giornaliste il ‘Manifesto di Venezia’, un protocollo con cui i giornalisti firmatari si impegnavano ad una corretta informazione del fenomeno della violenza di genere e delle sue implicazioni culturali, sociali e giuridiche, evitando sensazionalismo, cronache morbose ed uso di termini sbagliati.Anche nelle parole delle sentenze la violenza appare ancora descritta come una reazione, ridotta a conflittualità”.
“E’ fondamentale – sostiene la Presidente dell’organismo consiliare – che tutti gli operatori coinvolti siano adeguatamente formati: decisori pubblici, giornalisti, giudici, avvocati, operatori sanitari, mondo della scuola, associazioni.Occorre intervenire sull’educazione, a partire dall’asilo, condividendo modelli che contrastino gli stereotipi di genere, utilizzando libri di testo idonei, inserendo la parità di genere tra le tematiche da trattare nelle ore di educazione civica, educando uomini e donne a relazioni basate sul rispetto reciproco delle proprie diversità”.
“La dipendenza economica dall’uomo, legata alla mancanza di occupazione – evidenzia Perretti – è un ulteriore ostacolo nel percorso di emancipazione dalla situazione di violenza. Le donne vittime di violenza, soprattutto se con figli o migranti, sono ad alto rischio di marginalità nel mercato del lavoro, spesso con basso livello di istruzione o qualificazione. Diventa, quindi, molto importante strutturare percorsi e progetti specifici. Ed anche la collaborazione virtuosa tra centri antiviolenza, le case rifugio che ospitano le donne, terzo settore, enti di formazione e mondo delle imprese. Esistono delle buone prassi in tal senso in Emilia Romagna e Sardegna a cui potremmo ispirarci per realizzare dei modelli tagliati su misura per la nostra regione.E’molto importante anche la sensibilizzazione del nostro territorio a progetti di questo tipo.Il lavoro da svolgere è enorme e complesso e avremmo dovuto cominciare ieri, quindi è importante avviarlo subito, ma costituendo – conclude – una rete tra Istituzioni, associazioni cittadinanza attiva, perché quello delle alleanze virtuose è l’unico metodo che funziona”.