Il materano Vincenzo Viti in nota commenta le decisione del Gambero Rosso di premiare il pane lucano nella classifica dei forni più antichi d’Italia. Di seguito la nota integrale.
Quindi è lucano uno dei “forni’ più antichi d’Italia”, di Avigliano, a un tipo di schioppo dalla Capitale amministrativa della Regione, ma “terra indipendente e aliena”, culla di lievitazione non solo di biscotti e di paste ma di ingegni. Al punto da configurarsi come *nazione” di spiriti eletti, in parte trasvolati (ma non dimenticati né dimenticabili) e tanti ancora vegeti, fluttuanti e illuminanti.
Alla congiura del primato il Gambero Rosso chiama a testimoniare gran parte della natura animata e inanimata, dal calore che irradiano le fascine di faggio del Bosco di S Cataldo di Bella (fondamentali per il sapore della pizza e del pane) alla “pietra morta”, corredo tutt’altro che funerario perché deputato alla cottura della prodigiosa reliquia fino alla lievitazione sottratta agli artifici chimici e affidata alle tecnologie elementari della manifattura.
Un miracolo che tuttora si rinnova intorno alla produzione del pane e che si nutre di magie che sono il deposito di antichi riti spesso mutuati dalla religiosità popolare: se si risale al valore simbolico che in ogni tempo dalle origini a noi, il pane assume come principio costitutivo della nostra sopravvivenza e della nostra durata.
Sul pane si è argomentato come merita nell’affollato congedo di Matera Capitale”. Ne abbiano già scritto.
Si sono perlustrati i sentieri che hanno condotto alla “civiltà”del pane, dalla lunga inseminazione di sapienza e di potenza generatrice al mistero della fattura della lievitazione che è il filtro magico del sapore fino all’approdo nella combinazione di acqua, olio e di farine tracciate da antichi catasti. Un tragitto fatto di riti e di modernissime astuzie, la eterna riproduzione di un ‘”tempo” che rimanda alle scansioni elementari della vita,alle sue innocenze e alle sue dissipazioni.
Il pane come prodotto identitario avrebbe meritato di essere meglio proiettato, nelle cornici bronzee della Festa, come il segno di una civiltà che chiede di non morire, quindi di essere rappresentata, celebrata e tutelata anche perché evoca quell’alleanza fra la fatica e la intelligenza, autentica pietra filosofale del valore umano.
Oggi il Pane di Matera (come quello lucano che sale all’onore del Gambero) con il Pane di Altamura, piuttosto che confliggere nelle animosità dei travellers che ne scrivono con qualche intuibile risentimento, dovrebbero ritrovarsi in una impresa comune. Nel segno di ciò che vive e continuerà a vivere oltre le nostre dispute di contrada
Vincenzo Viti