La presentazione oggi da parte del Ministro Martina del marchio identificativo del regime di qualità “prodotto di montagna” porterà benefici ai produttori dell’Appennino lucano e potrà dare un impulso anche all’indotto: è il commento della Cia-Agricoltori di Potenza presieduta da Giannino Lorusso.
Il logo, realizzato dal Mipaaf, è verde con una montagna stilizzata e potrà essere utilizzato sui prodotti previsti dal regime di qualità. L’indicazione facoltativa di qualità «prodotto di montagna», infatti, è utilizzata per le materie prime che provengono essenzialmente da zone montane e nel caso degli alimenti trasformati, quando trasformazione, stagionatura e maturazione hanno luogo in montagna.
Il valore dell’agricoltura montana in Italia è pari a 9,1 miliardi di euro di cui 6,7 miliardi Appennini e 2,4 miliardi Alpi (dati della Fondazione Montagne Italia).
“Condividiamo l’obiettivo del Ministro Martina –dice Lorusso – di valorizzare meglio il lavoro dei produttori delle zone montane. Il marchio è una ulteriore possibilità, oltre che incentivo, per evidenziare il lavoro degli agricoltori di montagna che producono qualità della materia prima e dei prodotti trasformati. Si tratta inoltre di un sostegno ad una agricoltura svantaggiata e che produce con costi maggiori, spese che possono essere compensate dal valore aggiunto, alla vendita, di un prodotto riconosciuto da una dicitura in etichetta ad hoc. Inoltre – prosegue Lorusso – il valore che genera è utile a mantenere i coltivatori sul territorio che, lo ribadisco, restano un presidio insostituibile delle aree montane e non solo: in una equazione, più reddito e maggior presenza dell’uomo”.
Con il Decreto si concretizza quindi uno strumento efficace per gli operatori delle zone montane che potranno accrescere la redditività facendo leva sulla riconoscibilità dei prodotti, e allo stesso tempo garantire maggiore tutela ai consumatori, che chiedono sempre più trasparenza e informazione.
Per i prodotti di origine animale, l’indicazione facoltativa di qualità “prodotti di montagna” può essere applicata ai prodotti ottenuti da animali allevati nelle zone di montagna e lì trasformati, come, ad esempio il parmigiano reggiano, ma possono beneficiarne anche i prodotti dell’apicoltura, piante e spezie.
Sono sempre di più le aziende di ogni dimensione che decidono di chiudere la filiera al proprio interno e che rivendicano su tale materia un quadro di riferimento normativo puntuale, chiaro, agibile. In particolare nella nostra regione risultano oltre 23.000 le aziende con meno di 2 Ha di SAU, oltre 15.000 gli allevamenti da cortile e suinicoli prevalentemente per autoconsumo e piccole trasformazioni familiari, oltre 5.000 le aziende vitivinicole con superficie sotto le 30 are, 33.000 quelle olivicole, circa 15.000 gli orti familiari, solo per citare i numeri a volte inespressi e che rappresentano un tessuto produttivo nascosto e silenzioso che sorregge molte famiglie della comunità lucana.
“Quello delle piccole produzioni agro-alimentari lucane – commenta la Cia-Agricoltori di Potenza – è un segmento diffuso e importante che caratterizza e rafforza il settore primario anche in Basilicata. Tali aziende producono alimenti di elevata qualità e tipicità con ricadute non solo sulla microeconomia ma su fattori determinanti quali il presidio del territorio (specie montano), la ruralità, il paesaggio agrario, l’agriturismo . I quantitativi per la vendita, che avviene prevalentemente in ambito locale e di prossimità, sono di modesta entità. Queste aziende svolgono una strategica funzione di mantenimento della biodiversità, di presidio e difesa del territorio, di preservazione delle risorse naturali, di tutela del paesaggio agrario e della enogastronomica e ed in generali della cultura e delle tradizioni locali. Tale realtà rischia però di contrarsi fortemente in ragione della rigidità e della complessità delle vigenti normative che regolano e disciplinano i processi di produzione, la commercializzazione di prodotti primari e/o trasformati anche di quantità modesta”.
Feb 26