L’oliva bianca prodotta a Nova Siri da piante di Leucocarpa è stata protagonista a Geo & Geo trasmissione di Rai3 con in studio Carlo Stigliano che ha spiegato l’antica varietà di olive quasi perduta, salvata nelle contrade Pizzarello e Pietrosa del centro ionico.
Le fonti storiche narrano che all’epoca i monaci basiliani diedero un forte impulso ad alcune coltivazioni e probabilmente curavano questi ulivi per utilizzarli nelle loro attività. L’olio che si produceva infatti era chiarissimo e veniva chiamato anche “olio del crisma” perché veniva utilizzato: nelle funzioni religiose per ungere i sacerdoti; come olio sacro per i sacramenti come il battesimo, la cresima o l’unzione degli infermi; nelle cerimonie di incoronazione per ungere le alte cariche imperiali bizantine. Il prezioso olio della leucolea serviva inoltre per alimentare le lampade nei luoghi di culto, poiché, se bruciato, produceva pochissimo fumo. Le drupe, il nome scientifico del frutto dell’ulivo, non riescono a effettuare la sintesi antocianina e quindi assumono un colore simile all’avorio. Se si unisce il fatto che possono rimanere sulla pianta più a lungo di altre varietà, fino anche a primavera, si ottiene un effetto cromatico molto particolare: il verde scuro delle foglie e il bianco delle olive.In piena maturazione il contrasto tra verde e bianco lo fa sembrare un albero di Natale.
Nelle due contrade di Nova Siri siamo in presenza di un vero “parco della biodiversità”: su terrazzamenti fatti a pietra le diverse specie di mandorlo, uva, melograni, piante officinali (un alloro alto quasi 6 metri), pere, fichi, cotogne, nespole si alternavano ai tanti ulivi secolari. Tra questi anche l’ulivo dai frutti bianchi che presentava un tronco di dimensioni importanti.
Agia-Cia, insieme ai due giovani custodi (oltre a Stigliano c’è Antonio Manolio) , ha intenzione di avviare un censimento delle piane di Leucocarpa in Basilicata (l’invito a eventuali proprietari lucani segnalare alle sedi CIA gli alberi), fare una comparazione morfologica dei frutti e delle foglie ritrovate in Basilicata con quelle Calabresi, segnalare il frutto a SlowFood (inviando scheda d’inserimento all’interno dell’Arca del Gusto). Ribattezzata simbolicamente insieme ai due giovani produttori come “Bianca di Magna Grecia” può diventare un simbolo dell’importante patrimonio di Biodiversità dell’istituendo Parco della Magna Grecia.
Ott 02