Il Coordinamento Regionale Acqua Pubblica prende atto con soddisfazione della volontà del Presidente De Filippo di procedere alla revisione del modello di Sistema Idrico Lucano mediante l’istituzione di un Comitato Tecnico che elabori una nuova legge regionale sulla materia.
Tale apprezzabile intenzione è, a nostro giudizio, ancora più da rimarcare in quanto anticipa di un giorno la corale per il no al referendum proposto dal Forum Nazionale dei Movimenti per l’Acqua interpretata in modo assolutamente bipartisan da esponenti di centrodestra e centrosinistra nel corso del convegno promosso sul tema dalla Fondazione Astrid il 16 settembre u.s.
Dovrebbe, infatti, essere ormai noto in un paese democratico, ma ahimè così non è, che a luglio scorso si è conclusa la prima fase di una straordinaria esperienza di democrazia partecipata, che ha portato oltre 1,4 milioni di cittadini a livello nazionale e 15.536 a livello regionale – tra cui anche il Presidente De Filippo e numerosissimi sindaci ivi compresi quelli dei due comuni capoluogo – a firmare per i tre quesiti referendari proposti dal Forum, pronunciandosi così per una decisa riaffermazione del principio dell’acqua come diritto universale ed inalienabile dell’uomo (in accordo a quanto sancito dalle Nazioni Unite il 26 luglio u.s. con una risoluzione approvata senza voti contrari) ed in tale ottica per la totale ripubblicizzazione dei servizi idrici.
Nel desolante panorama politico nazionale in tutto asservito alle logiche della grande finanza e delle invadenti multinazionali è consolante ascoltare elaborazioni concettuali da parte di esponenti locali sicuramente più rispondenti al vero di quanto lo siano le speciose e mistificanti ragioni di Astrid.
È il caso di De Filippo quando afferma che “gestire bene la risorsa idrica vuol dire utilizzare meno e meglio l’acqua e questo confligge con gli interessi di un gestore privato che, perseguendo il profitto, sa bene che più utilizzo vuol dire più ricavi” e ancora riflette sul fatto che “portare l’acqua anche in zone poco densamente popolate sarebbe un’operazione non conveniente dal punto di vista economico per un privato e noi siamo una regione con un territorio grande il doppio di quello della Liguria, ma con appena 600mila abitanti”, o del consigliere regionale Singetta nel mentre dichiara che la legge da elaborarsi dovrà – in primis – rispettare le volontà dei cittadini “manifestatesi, nei mesi scorsi, in una unanime e coesa protesta contro la paventata trasformazione del bene pubblico acqua in un bene da commercializzare, gestito da utilities” e che esistono “beni che non possono in alcun modo essere affidati alla gestione privata e l’acqua è uno di questi”.
Queste le luci, veniamo ora alle ombre. L’evidente convergenza sui temi a noi cari, infatti, non può esimerci dall’evidenziare le palesi criticità dell’iniziativa con riferimento innanzitutto alla volontà espressa di incasellare nel quadro normativo nazionale il ridisegno del sistema idrico regionale. Ancora una volta pare essere travisato il senso del decreto Ronchi che prevede non la possibilità di una libera scelta da parte delle comunità su come amministrarlo, bensì l’obbligo di aprire al privato entro la fine del prossimo anno. Come abbiamo già avuto modo di sottolineare in precedenti occasioni: l’unica via d’uscita è il ricorso alla gestione diretta attraverso un ente di diritto pubblico improntato a corretti criteri amministrativi.
Presidente, abbia coraggio!
Contriubuisca al successo della battaglia referendaria, proceda alla totale ripubblicizzazione del servizio idrico.
Le chiediamo inoltre di favorire, tra i primi, in questa agonizzante democrazia il realizzarsi di un processo di reale partecipazione dei cittadini alle scelte su temi fondamentali come quello trattato, consentendo alle loro associazioni di partecipare al tavolo interistituzionale e di essere informati in tempo reale sulle elaborazioni del tavolo stesso.
Rivolgiamo, altresì, un appello a tutti i nostri politici perché esercitino con decisione la loro capacità di condizionamento su Roma affinché si applichi una moratoria sospensiva del decreto Ronchi sino al pronunciamento della volontà popolare sui tre quesiti referendari da noi proposti.