Non si fa altro che parlare di un traguardo, quello del 2019 dove la candidatura di Matera a capitale europea della cultura sembra l’obiettivo primario e fondamentale da raggiungere ad ogni costo, con ogni sacrificio, a scapito di qualunque altra emergenza, giustificando ogni insana spesa. E’opportuno subito chiarire che non vi è divergenza politica e ritengo che tutti dovremmo sforzarci per ambire a tale obiettivo. Il problema è del come e con quali immolazioni. Sono certo che la cultura sia fondamentale e primaria attribuzione di un paese, ma questa non può e non deve prescindere da una politica economica valida sul territorio, lì dove insistono ampiezze di patrimonio di conoscenze storiche e sociali. Di fatto, si assiste ad uno stato sociale piatto, ad una disoccupazione incontrollata, ad una cassa integrazione quale unico rimedio al reddito, ad una economia che non vede una sola azienda solida, da un polo industriale che arranca, da un commercio che trascina il suo pesante fardello, da un artigianato oramai morto. Il tutto esacerbato da una tassazione reale ed occulta in danno della comunità, con una stretta sulla repressione amministrativa che produce valanghe di contravvenzioni: strisce blu con parcheggi introvabili, tassa sulla caldaia, tributo esagerato su passaggi di proprietà, revisioni auto, mense scolastiche, ecc. questo, per sostenere una macchina amministrativa contorta e poco funzionale che tutti noi manteniamo. In siffatto scenario comprendiamo bene che il traguardo culturale si allontana, del resto questa politica ha già avviato le sue scelte, il suo percorso con lo sperpero e lo spreco, liquidando 150 mila euro la scultura dell’artista giapponese Kengiro Azuma e posta in bella mostra all’ingresso di palazzo Lanfranchi. Non discuto la scelta, questa appartiene ai critici d’arte e cultura, discuto il momento, le priorità di questa valutazione, dove l’acquisto getta i presupposti per far ritenere che la dissipazione di denaro pubblico non ha pari, lo sviluppo ed i temi sociali sono messi da parte. Su tali contenuti si innestano quelli dei tanti partecipanti al progetto COPES, gente senza reddito, ragazze madri, famiglie numerose, donne sole e con prole, persone che non hanno di che vivere e che crescono i loro figli consci d’esser poveri e del non poter dar loro nulla. Insieme a questi, coloro che sono i più vicini, coloro che oggi sono un solo passo avanti ma domani nelle stesse fila: i tanti lavoratori in cassa integrazione che oramai hanno perso le speranze di rientrare nel polo produttivo di provenienza e che vedono ridursi le speranze di un lavoro continuativo e certo. Costoro oggi affrontano le maggiori difficoltà ed a questi poco importa sapere di essere vittime di una crisi economica o della globalizzazione, l’unica cosa sensata per i lavoratori del distretto del salotto resta ancora potersi definire tali. Detto questo, non appare distorto rivolgere un richiamo alle responsabilità delle organizzazioni sindacali ed a chi ha gestito le emergenze, nell’aver ricercato la sola soluzione in direzione della cassa integrazione. Per tali motivi quella goccia di Azuma, simbolo dello sperpero e dello spreco, che per tutti noi, vicini ad una politica sociale, sensibili del disagio di tanti, diventa un simbolo: una lacrima. La grande lacrima di chi oggi a pochi giorni dal natale non trova soluzioni. I rappresentanti delle due comunità hanno deciso di riunirsi in una manifestazione silenziosa con un sit-in nei pressi di tale metafora. L’unione di queste due rappresentanze sociali non sono casuali, si è consci che il confine tra gli ex lavoratori cassintegrati ed i senza reddito è sottile. Sono questi i termini della manifestazione del mattino di venerdì 17 dicembre, su questi delicati aspetti che vogliono dare anche un senso culturale alla protesta, si alimenta la fiducia che si apra un dibattito serio e concreto sulle politiche sociali e del lavoro, atteso che si è certi che a nulla varranno tali iniziative, sarà l’ennesima manifestazioni inascoltata.
Adriano Pedicini consigliere comunale di Matera