Dall’inizio della crisi hanno chiuso oltre diecimila stalle da latte, oltre il 60 per cento delle quali si trovava in montagna, dove insieme alla perdita di posti di lavoro e di reddito viene anche a mancare il ruolo insostituibile di presidio del territorio, nel quale la manutenzione è assicurata proprio dal lavoro silenzioso di pulizia e di compattamento dei suoli svolto dagli animali. E’ quanto emerge da una analisi della Coldiretti in occasione della Giornata ufficiale del latte promossa da Expo 2015 e dal Ministero delle Politiche Agricole. In sono sopravvissute appena 35mila stalle che hanno prodotto nel 2014 circa 110 milioni di quintali di latte mentre sono circa 86 milioni di quintali le importazioni di latte equivalente.
Per ogni milione di quintali di latte importato in più – denuncia la Coldiretti – scompaiono 17mila mucche e 1.200 occupati in agricoltura, eppure dall’inizio della crisi nel 2007 ad oggi le importazioni di prodotti lattiero-caseari dall’estero sono aumentate in valore del 20 per cento, secondo un’analisi di Coldiretti relativa ai dati del commercio estero fino al 2014.
Il risultato della concorrenza sleale dovuta alle importazioni di bassa qualità spacciate per italiane è il fatto che il latte viene pagato agli allevatori in media 0,36 centesimi al litro, con un calo di oltre il 20 per cento rispetto allo scorso anno, mentre al consumo il costo medio per il latte di alta qualità è di 1,5 euro al litro, di qualche centesimo superiore allo scorso anno.
In altre parole – spiega la Coldiretti – gli allevatori devono vendere tre litri di latte per bersi un caffè al bar, quattro litri per un pacchetto di caramelle, quattro litri per una bottiglietta di acqua al bar e quasi 15 litri per un pacchetto di sigarette. Ma soprattutto il prezzo riconosciuto agli allevatori – sottolinea la Coldiretti – non copre neanche i costi per l’alimentazione degli animali e sta portando alla chiusura di una media di quasi 4 stalle al giorno con effetti sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente e sulla sicurezza alimentare degli italiani.
A rischio c’è un settore che rappresenta la voce più importante dell’agroalimentare italiano con un valore di 28 miliardi di euro con quasi 180 mila gli occupati nell’intera filiera.
E in Basilicata? La situazione per molti versi ricalca quella nazionale, con la remunerazione del latte penalizzata in particolare dalla tipologia di conferimento (stante lo scarso numero di laboratori aziendali), il costante aumento dei costi dei mezzi di produzione, in primis del gasolio, dei mangimi, dei fertilizzanti. E inoltre la dispersione sul territorio delle aziende, la localizzazione spesso sfavorevole degli allevamenti e la conseguente elevata frammentazione dell’offerta.
“Occorre studiare soluzioni che consentano anche alle aziende marginali di sopravvivere” ha affermato il Presidente della Coldiretti di Basilicata Piergiorgio Quarto. “Anche il settore della trasformazione abbisogna di interventi, caratterizzato da un elevato numero di unità ma di piccole dimensioni in termini di latte lavorato e numero di addetti. Occorre intervenire sul prezzo del latte dalla stalla alla tavola, recuperando margini indispensabili ai nostri allevatori per continuare il loro lavoro a garanzia di qualità e sicurezza alimentare. Alcuni gruppi lungimiranti industriali e della distribuzione stanno cogliendo la sfida”.