E’ come se la Fiat di Melfi avesse sospeso per un anno intero la produzione: 1.228 aziende agricole lucane che nel 2012 hanno cessato l’attività ( con un leggero miglioramento rispetto al 2011 quando sono state 21.334) rappresentano tra occupazione diretta e indotta l’equivalente dei 5.500 posti dello stabilimento automobilistico lucano. A sottolinearlo è la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori riferendo che secondo i dati ufficiali di Unioncamere sono state 816 in provincia di Potenza e 412 in provincia di Matera le imprese della coltivazione dei campi che sono state cancellate dagli albi delle due Cciaa. L’agricoltura – evidenzia la Cia – paga dunque l’assenza di misure a sostegno del settore e perde “pezzi” e vitalità, scontando ancora una volta sulla sua pelle gli effetti della crisi economica, dell’introduzione dell’Imu e dei costi produttivi record.
Il modello di impresa agricola lucana continua a caratterizzarsi come “società di persona”: nel 2012 le società di capitale registrate risultano 275 (erano 292 nel 2011) e quelle attive 238 (erano 249 nel 2011).
A mettere sotto pressione il mondo agricolo è soprattutto il “capitolo fiscale”. Da una parte c’è l’Imu, che si abbatte come un macigno sulle aziende, tassando terreni e fabbricati rurali. E dall’altra la macchina farraginosa della burocrazia: non solo costa al settore più di 4 miliardi di euro l’anno (di cui un miliardo addebitabile a ritardi, disservizi e inefficienze della PA), ma fa perdere a ogni impresa quasi 90 giorni di lavoro l’anno solo per rispondere a tutti gli obblighi tributari e contributivi.
A tutto questo -continua la Cia- si aggiunge la stretta creditizia e l’aumento dei costi di produzione, trascinati in alto dai rincari di gasolio e mangimi, annullando quasi i margini di guadagno delle imprese, che chiudono il 2012 con redditi al palo (+0,3 per cento).
Ma il sistema agroalimentare è fondamentale per il Paese, rappresentando oltre il 15 per cento del Pil. Ecco perché nella prossima legislatura serve un impegno serio per il settore da parte della politica -continua la Cia- nel senso di una riduzione dei costi, di una semplificazione amministrativa e fiscale, di un miglioramento dell’accesso al credito, di contratti sicuri con i soggetti della filiera, soprattutto con la Grande distribuzione organizzata e di una spinta decisa verso l’aggregazione.
Anche creare nuova occupazione diventa dispendioso per gli imprenditori agricoli: in Italia le aliquote a carico del datore di lavoro per l’assunzione di manodopera sono pari al 35 per cento circa. E’ chiaro che tutto questo non aiuta ad avere fiducia nelle prospettive del Paese -conclude la Cia- anzi demoralizza e abbatte. Ecco perché la prossima legislatura dovrà immediatamente affrontare i problemi del settore primario, partendo proprio dalla riduzione delle accise e della pressione fiscale e contributiva a carico delle aziende. D’altra parte, l’agricoltura è un elemento centrale della struttura economica e occupazionale dell’Italia, una garanzia per la tutela del territorio e dell’ecosistema.