In Basilicata il 55% del suolo è a rischio desertificazione. L’allarme lanciato ieri dal Cnr all’Expo di Milano vede da tempo la Cia lucana attenta e propositiva.E’ il commento di Donato Distefano, direttore regionale della Cia, evidenziando che in un decennio (2000-2010) la superficie agricola investita nella nostra regione è diminuita di 64.611 ettari (da 537.532 ha del 2000 a 472.920 ha del 2010), pari al 12% in meno. Come Cia all’Expo –afferma – abbiamo ribadito che il suolo va difeso e fertilizzato naturalmente, un suolo fertile mantiene l’acqua e l’agricoltore custode impegnato nella tutela della biosfera e della biodiversità è il primo a farsi carico di questa esigenza senza la quale è impensabile di nutrire il pianeta. A questo operare è di essenziale supporto la ricerca. Il nostro ruolo come organizzazioni agricole è proprio questo: stimolare e contribuire alla ricerca e trasferire innovazioni e conoscenze alla imprese agricole. Tuttavia questo è possibile se accanto alla sostenibilità ambientale che è il primo impegno dell’agricoltura mondiale si pone la questione della sostenibilità economica dell’impresa agricola. Senza la quale l’agricoltura non ha futuro”.
Intanto, maggiore attenzione al “consumo” del suolo: poco meno di 80.500 ha di cereali sono “scomparsi” in Basilicata in un decennio, con l’effetto del quasi dimezzamento delle aziende cerealicole (da 40mila da 22mila); stessa sorte per 665 ha di colture ortive, 523 ha di patata, 517 di barbabietole da zucchero, mentre i cosiddetti “terreni a riposo” sono aumentati di 12.700 ha. Ancora, la Basilicata ha perso 3.500 ha di vigneti, 5.600 ha di coltivazioni legnose, 1.900 ha di agrumi, 967 ha di olivo. Persino gli orti familiari, da sempre simbolo di un’economia agricola di sostentamento, registrano un arretramento di 484 ettari pari al 32,2% in meno. La Cia da anni sostiene che serve una nuova legge per la ristrutturazione del territorio.
“Si deve porre un freno ad un uso dissennato e confuso del suolo agrario soprattutto – evidenzia Distefano- determinato dalle azioni non programmate delle opere di urbanizzazione, in particolare per centri commerciali e capannoni industriali. Occorre arrestare questo fenomeno con una gestione accorta degli insediamenti, recuperando una enorme cubatura abitativa, industriale e per servizi da tempo inutilizzata. C’è l’esigenza di più agricoltura e di accrescere la sua funzione. Il territorio – continua – è, quindi, da preservare e da consegnare alle generazioni future senza comprometterlo. Vogliamo lasciare un segno tangibile per salvare la terra coltivabile, il paesaggio naturale. Basta con le devastazioni, con la distruzione di un bene che è un patrimonio inestimabile che intendiamo difendere con ogni mezzo”.