Con il 61,5 per cento dei campioni risultati irregolari per la presenza di residui chimici è il peperoncino proveniente dal Vietnam il prodotto alimentare meno sicuro in vendita in Italia che, nel corso del 2013, ne ha importato ben 273.800 chili per utilizzarlo nella preparazione di sughi tipici come l’arrabbiata, la diavola o la puttanesca piccante e per insaporire l’olio o per condire piatti senza alcuna informazione per i consumatori.
E’ quanto emerge dal Dossier “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”, presentato dalla Coldiretti anche con una esposizione della “Classifica dei cibi più contaminati”, elaborata sulla base delle analisi condotte dall’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) nel Rapporto 2014 sui Residui dei Fitosanitari in Europa, al Teatro Palapartenope di Napoli, dove sono giunti diecimila coltivatori provenienti dalle diverse regioni insieme al Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
Per la Basilicata ha partecipato l’Assessore all’Agricoltura Ottati. Nutrita la partecipazione degli imprenditori agricoli di tutta la Regione guidati dai massimi dirigenti della Coldiretti di Basilicata: il Presidente Regionale della Coldiretti di Basilicata nonché membro di giunta nazionale Piergiorgio Quarto, il Presidente Provinciale di Potenza Teodoro Palermo, il Direttore Regionale Angelo Milo ed il Direttore Provinciale di Potenza Franco Carbone.
Un pericolo legato al fatto che, sotto la pressione della crisi, è sostenuto il commercio di surrogati, sottoprodotti e aromi artificiali, oltre che di alimenti a basso costo ma a rischio elevato come dimostra il fatto che le importazioni agroalimentari in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di euro nel 2013 con un aumento del 20 per cento rispetto all’inizio della crisi nel 2007. Se nella maggioranza del peperoncino dal Vietnam esaminato è stato trovata la presenza in eccesso di difenoconazolo, ma anche di hexaconazolo e carbendazim che sono vietati in Italia sul peperoncino, a preoccupare è anche l’arrivo sul territorio nazionale nel 2013 di 1,6 milioni di chili di lenticchie dalla Turchia che, secondo l’Efsa, sono irregolari in un caso su quattro (24,3 per cento) per residui chimici in eccesso e delle arance dall’Uruguay che presentano il 19 per cento dei campioni al di sopra dei limiti di legge per la presenza di pesticidi come imazalil ma anche di fenthion, e ortofenilfenolo vietati in Italia. Nella classifica dei prodotti più contaminati elaborata alla Coldiretti ci sono anche le melagrane dalla Turchia (40,5 per cento di irregolarità), i fichi dal Brasile (30,4 per cento di irregolarità), l’ananas dal Ghana (15,6 per cento di irregolarità), le foglie di the dalla Cina (15,1 per cento di irregolarità) le cui importazioni nei primi due mesi del 2014 sono aumentate addirittura del 1.100 per cento, il riso dall’India (12,9 per cento di irregolarità) che con un quantitativo record di 38,5 milioni di chili nel 2013 è il prodotto a rischio più importato in Italia, i fagioli dal Kenia (10,8 per cento di irregolarità) ed i cachi da Israele (10,7 per cento di irregolarità). Si tratta di valori preoccupanti per un Paese come l’Italia che può contare su una produzione Made in Italy con livelli di sicurezza da record con un numero di prodotti agroalimentari con residui chimici oltre il limite di appena lo 0,2 per cento che sono risultati peraltro inferiori di nove volte a quelli della media europea (1,6 per cento di irregolarità) e addirittura di 32 volte a quelli extracomunitari (7,9 per cento di irregolarità), sulla base delle elaborazioni Coldiretti sulle analisi condotte dall’Efsa e del piano coordinato europeo dei controlli sui residui fitosanitari. Un pericolo che colpisce ingiustamente soprattutto quanti dispongono di una ridotta capacità di spesa a causa della crisi e sono costretti a rivolgersi ad alimenti a basso costo dietro i quali spesso si nascondono infatti ricette modificate, l’uso di ingredienti di diversa qualità o metodi di produzione alternativi.
“Sono questi dati davvero preoccupanti e ben venga la decisione del Ministro della Salute Beatrice Lorenzin di accogliere la nostra richiesta di togliere il segreto e di rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero e i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri per poi spesso spacciare i loro prodotti come Made in Italy”, ha sottolineato il presidente Regionale della Coldiretti di Basilicata Piergiorgio Quarto nel precisare che “anche la Basilicata e le sue eccellenze trarrebbero un valore aggiunto dalla trasparenza, con l’indicazione delle aziende che importano materie prime dall’estero; non è possibile ancora oggi che sui banchi dei nostri supermercati si trovano produzioni straniere quando la Basilicata ne è ricca e i nostri agricoltori non recuperano nemmeno le spese dalla vendita dei prodotti. È un primo passo che va completato con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti”.
Mag 29