Sabato 14 febbraio 2015 alle ore 18 nella sala conferenze della Mediateca provinciale di Matera sarà presentato il progetto di recupero del Mulino Alvino e della nuova produzione di pasta con il marchio “Alvino storico pastificio Matera 1884”. Dopo 130 anni l’imprenditore Nicola Benedetto ridà vita alla rinomata produzione di pasta materana, al suo storico marchio e all’antico opificio. Il progetto prevede che, nella struttura, sarà realizzato un museo delle “arti bianche”, delle tecniche di produzione e ospiterà una scuola di Cucina. Un luogo di promozione, valorizzazione e tutela della tipicità lucana a Tavola. Il Mulino diventerà il punto di riferimento per la filiera agroalimentare lucana in una città come Matera, promossa capitale europea della cultura e meta avanzata del turismo lucano nel mondo.
Durante la serata interverranno:
l’architetto Mattia Antonio Acito, la dott.ssa Antonella Padula, discendente della famiglia Quinto, l’ing. Mauro Bitondo, l’architetto Ettore Mocchetti, direttore di AD (architectural digest) che ha già curato il restauro di Palazzo Gattini.
Conclusioni affidate all’imprenditore Nicola Benedetto.
Riportiamo di seguito la nota inviata in merito da Pietro Sanchirico, dirigente nazionale e componente segreteria regionle Centro Democratico: “I significati del ritorno della pasta di Matera”:
Il ritorno della pasta di Matera, prodotta con semola di grani duri della Basilicata, con il marchio di “Alvino”, nell’anno dell’Expo dove la pasta è il simbolo per eccellenza del made in Italy alimentare, ha tanti significati. Alcuni locali riferiti alla filiera agroalimentare e all’ulteriore promozione per Matera Capitale della Cultura Europea 2019. Intanto, il settore cerealicolo lucano è in grave affanno ed ha necessità di nuove politiche che diano reali sostegni alle imprese agricole che non possono continuare ad operare nell’incertezza più profonda e in un sistema scarsamente competitivo che sta fiaccando sempre più i produttori. La scelta di tanti cerealicoltori di non seminare (nel Materano dove la qualità di grano duro è stata una nobile tradizione, in pochi anni le superrficie cerealicole si sono ridotte del 30-40%) dipende innanzitutto dal fattore costi, visto che oggi i prezzi di mercato rispetto alla concorrenza estera non riescono a compensare gli oneri da fronteggiare. Tanto più nell’ambito dei cereali, dove -nonostante gli aumenti sia pure risicati di listino- il prezzo di grano duro e grano tenero pagato ai nostri agricoltori resta tutt’ora tra i più bassi del mondo. E appena due anni fa sembrava fantascientico solo pensare di produrre pasta a Matera. Non è un mistero per nessuno che in Basilicata è da anni diffuso grano proveniente soprattutto dall’Ucraina, dal Kazakhistan, dall’Australia, dal Canada e dal Messico, che viene scaricato al porto di Bari, e dalla Turchia, attraverso l’interporto di Foggia e per la pasta prodotta in Italia sono impiegati grani duri per il 50-60 per cento di origine estera, con seri problemi di qualità e sanità del prodotto e che sicuramente già adesso non reggono la prova della pasta al dente, sino al rischio, da qui a qualche anno, di non poter più disporre di pasta al dente. Secondo il Centro di Ricerca per la genomica del Cra (Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura) di Fiorenzuola d’Arda (Piacenza) avremo raccolti di grano più ricchi, anche del 20%, ma il frumento conterrà meno proteine, fattore determinante per la tenuta della pasta. La cottura perfetta, vanto della pastasciutta all’italiana, sarà – avvertono i ricercatori – solo un bel ricordo entro i prossimi 20 anni. Solo un buon grano duro e una produzione di pasta che recuperi la tradizione può consentire di garantire il gustoso piatto di pasta in tavola. Uno sforzo che ci richiede il primo prodotto-simbolo del “made in Italy” proprio quando all’estero stanno facendo di tutto per imparare a cuocere la pasta «come si fa in Italia» superando la diffusa (sempre all’estero) pasta troppo cotta. Ed ecco un forte significato nazionale di cui essere orgogliosi.
Ma scusate non dovrebbe essere demolito? Mi pare ci sia qualche cubatura di troppo. Se l’edificio in Via Dante (quello famoso bloccato e sotto inquisizione) vantava la sua esistenza grazie alla rilocazione della cubatura del mulino Alvino (non sta in nessuna legge urbanistica dello stato italiano) come può saltar fuori adesso quest’altra notizia sulla riapertura del Mulino Alvino? Non sarà l’avanposto per un nuovo Hotel??