Aggiornare e adeguare le norme sulla produzione biologica, consentendo al settore di svilupparsi ulteriormente e far fronte alle sfide future. In questo senso, la riforma della legislazione che regola il comparto dovrà incentivare un processo di conversione delle aziende agricole convenzionali verso metodi colturali biologici, mantenendo e migliorando nel contempo la fiducia dei consumatori. E’ questa la posizione di Anabio-Cia lucana (Associazione Nazionale Agricoltura biologica) che evidenzia come con circa il 12% della superficie agricola utilizzata destinata ad agricoltura biologica (poco meno di 100 mila ettari) e 1.500 aziende agroalimentari che adottano metodi di produzione biologica, la Basilicata si colloca fra le regioni con il più elevato e variegato potenziale, dati i diversi orientamenti produttivi delle aziende convertite. Ma anche per il bio, come per le produzioni agricole di qualità, non è tutto oro quello che luccica e diventa sempre più necessario adeguare azioni e programmi per competere sul mercato del “target alimenti biologici”, l’unico tra quelli alimentari che non conosce crisi.
E’ chiaro, quindi, che il segmento biologico si è trasformato negli anni da movimento circoscritto, per lo più locale e poco organizzato, a fenomeno esteso e tendenzialmente di massa -spiega Anabio-Cia. Proprio per questo, però, è fondamentale giungere al più presto a una nuova regolamentazione del settore, che elimini gli ostacoli alla produzione biologica ancora presenti nell’Ue.
Sulla base di queste considerazioni gli obiettivi di riferimento della riforma legislativa sul bio devono essere secondo la Cia: avere una normativa uniforme a livello europeo, per una migliore comunicazione con i cittadini ma anche per un più efficace contrasto alle frodi; semplificare gli adempimenti eliminando le disposizioni inutili e/o inefficaci; rendere più efficiente e incisivo il sistema di controllo; mirare in modo dinamico al miglioramento delle performance ambientali del metodo produttivo, in considerazione dell’evoluzione delle normative cogenti e delle problematiche relative ai cambiamenti climatici.
L’evoluzione degli operatori interessati a questo metodo di produzione – afferma Antonio Nisi, presidente Cia – è imputabile a vari fattori: il principale, quando gli incentivi economici derivanti dall’applicazione della Politica Agricola Comunitaria non sono interessanti, è l’opportunità che offre la certificazione biologica di mantenere o conquistare nuovi spazi di mercato. La distribuzione territoriale delle aziende e è abbastanza ramificata e coinvolge tutto il territorio regionale, con concentrazioni maggiori dove le possibilità di commercializzazione e valorizzazione delle produzioni sono più frequenti (es. nel Metapontino) ed in quelle aree ove il sostegno finanziario della Nuova Politica Agricola Comunitaria al metodo biologico ed a particolari colture sono maggiori, come è stato, ad esempio, il caso dei cereali nelle colline Materane. Si evince, quindi, il passaggio alla fase di “maturità”, sia dei produttori che del mercato, con una selezione “fisiologica” di chi garantisce le migliori prestazioni. Alcuni imprenditori lucani – conclude Nisi – si sono resi conto che il mercato del bio non è più una piccola nicchia e rappresenta l’unico segmento dell’agroalimentare italiano con tendenza alla crescita.