L’apertura anche nella festività del Lunedì dell’Angelo di Auchan Lucania a Tito, con orario continuato per l’intera giornata, come accade già la domenica, rilancia l’iniziativa promossa dalla Confesercenti “Libera la domenica”, la proposta di una legge di iniziativa popolare per cambiare la normativa sulle liberalizzazioni e riportare nell’ambito delle competenze delle Regioni le decisioni sulle aperture domenicali degli esercizi commerciali. Per raggiungere l’obiettivo,è necessario raccogliere 50.000 firme, e la raccolta sul territorio nazionale, è già vicina all’obiettivo. A sostenerlo è il presidente della Confesercenti di Potenza Prospero Cassino, aggiungendo che l’ennesima apertura festiva di un centro commerciale coincide con i dati dell’indagine della federazione di categoria moda della Confesercenti (Fismo) secondo cui al primo trimestre 2013 i negozi di abbigliamento-calzature che chiudono in Basilicata sono 61 con una proiezione a fine 2013 di 244 esercizi di settore che abbasseranno definitivamente la saracinesca. Non è casuale lo slogan alla base della nostra campagna (“Chiudiamo la domenica per continuare a tenere aperto bene domani”) per esprimere – dice Cassino – tutta la nostra contrarietà sulle aperture domenicali e festive tanto più in città e territori come il Potentino che non hanno alcuna caratteristica turistica. L’iniziativa nasce da ragioni di valore proprie della cultura laica e religiosa che vede nella giornata festiva un momento importante per valorizzare il ruolo della famiglia, delle tradizioni religiose, degli interessi culturali e ricreativi. La scelta di una liberalizzazione senza regole in una fase, per giunta, di profonda recessione, ha acuito invece solo le difficoltà delle Pmi senza peraltro avere effetti significativi sui consumi delle famiglie che hanno registrato un pesante trend negativo fino ad arrivare nel 2012 ad un calo record superiore al 4%. Gli effetti stravolgenti di questa situazione hanno inoltre ripercussioni gravi sull’occupazione e sulla desertificazione dei centri urbani. Nel 2012 il saldo negativo nel settore del commercio al dettaglio è stato di circa 20 mila unità (64126 cessazioni contro 43367 aperture) con una perdita di più di 44 mila addetti. Se poi si tiene conto del settore alimentare (carni, frutta e verdura, pesce, pane e dolciumi) nei soli capoluoghi di regione la sparizione di negozi è ormai diventata una inarrestabile emorragia, tanto che, a fronte di una popolazione complessiva di 9 milioni 661 mila 440 abitanti, sono rimasti solo 17768 esercizi commerciali del settore alimentare. Vale a dire meno di 2 negozi ogni mille abitanti (1,8). Un sostegno diretto è venuto dal Presidente della Commissione Lavoro, Giustizia e Pace per la CEI , l’arcivescovo Giancarlo Bregantini: ““Voglio esprimere la mia gratitudine per una battaglia partita dalla base, attraverso la sinergia tra cultura laica e cultura religiosa. I valori messi in gioco da queste liberalizzazioni selvagge sono tre: quello antropologico che priva le persone del riposo settimanale; quello sociale, che priva la famiglia di uno o entrambi i genitori, costretti a lavorare anche la domenica, la famiglia in primo luogo, il cuore dell’uomo, è la sede in cui Dio trova pace se l’uomo trova pace con se stesso e con la sua famiglia e gode del suo lavoro; quello economico, poiché un’economia senza regole e senza etica non porta benefici. Per questi tre motivi chiediamo un ripensamento della legge: non chiediamo che i negozi siano sempre chiusi, ma che vengano regolamentati. Chiediamo che la competenza torni a livello locale, in modo che la decisione sulle aperture venga presa di fronte a necessità specifiche ed in un giusto rapporto con le esigenze del territorio”. Per Fismo-Confesercenti crisi e austerità sembrano averlo cancellato dal DNA degli italiani. E anche le botteghe e i negozi di abbigliamento del nostro Paese, un tempo trampolino di lancio delle nuove tendenze mondiali, stanno via via scomparendo. Dopo la flessione di spesa del 10,2% in abbigliamento e calzature registrata nel 2012 (- 6,8 miliardi), a gennaio 2013 questa, nonostante i saldi invernali, ha continuato a contrarsi, segnando il – 4,5% rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Un calo consistente e prolungato, che mette a rischio la storica rete italiana di negozi di abbigliamento tradizionali. Che, tra le imprese travolte dalla crisi del mercato interno, sono i più colpiti. La stima è di Fismo-Confesercenti, l’associazione di categoria Confesercenti del settore, che avverte: “Emorragia gravissima, che mette a rischio un’industria da 66,5 miliardi e gli effetti benefici del turismo ‘fashion’ per l’economia delle nostre città: i turisti dell’abbigliamento già le saltano per finire negli outlet”.
Apr 01