Restano sostenuti i prezzi del grano duro, con quotazioni superiori di circa il 70-80% rispetto a un anno fa. A maggio il prezzo della Camera di Commercio di Foggia – riferimento per i cerealicoltori lucani e del Sud – si è attestato sui 544,50 €/t, un valore non distante dai picchi massimi toccati a gennaio 2022. È difficile al momento ipotizzare riduzioni di prezzo superiori al 15%, anche per il sostegno che arriva da condizioni sempre più critiche sul generale mercato dei cereali. Le prospettive di riduzione dei prezzi per il grano duro, peraltro modeste, restano subordinate ai rischi di ulteriore deterioramento delle produzioni per via dell’impatto climatico. La produzione nazionale faticherebbe a raggiungere i 4 milioni di tonnellate, facendo quindi registrare un leggero calo rispetto alla campagna precedente.
È questo il quadro a tinte fosche che è emerso dai Durum Days 2022, l’evento che ogni anno chiama a confronto tutti gli attori della filiera per fare il punto sulle previsioni della campagna, svoltosi a Foggia con la partecipazione dei rappresentanti di Assosementi e tra le organizzazioni agricole della Cia-Agricoltori italiani.
Il lucano Leonardo Moscaritolo, presidente nazionale del Gruppo di interesse economico (Gie) cerealicolo di Cia, sottolinea che “Le ripercussioni della guerra russo-ucraina, più marcate invece per il mais rispetto al grano, rilevano solo un ulteriore punto di debolezza del nostro comparto. Sui mercati cerealicoli tra i tanti – dice Moscaritolo – pesano principalmente tre fattori: la diminuzione di produzione italiana, la crescita di importazione di grani esteri (oltre l’ucraino, lo spagnolo, canadese, statunitense ed australiano), la bassa redditività per i produttori.
I dati del Gie-Cia (fonte Ismeea): la produzione di frumento tenero subisce un costante calo dal 2012, cioè da quando le rese avevano raggiunto 5,9 t/ha con superfici pari e 593.500 ettari; negli anni successivi le due variabili produttive sono risultate molto variabili mantenendosi su livelli più bassi. Nel 2020 i raccolti sono rimasti stabili grazie all’aumento della rese unitarie, dato che le superfici sono diminuite del 6% su base annua a poco meno di 501 mila ettari; dopo gli abbondanti raccolti di frumento duro nel 2016, grazie all’aumento delle superfici e soprattutto delle rese (3,7 t/ha per 1,4 milioni di ettari), l’offerta si è ridotta negli anni successivi ed è rimasta stabile nel 2020 in ragione dell’andamento contrapposto delle superfici (-1% sul 2019 a 1,21 milioni di ettari) e delle rese (+2% a 3 t/ha). Ciònonostante Puglia e Basilicata conservano i primati di superfici e produzioni di grano tenero: in Puglia 22% di superfici e 18% di produzione, in Basilicata rispettivamente 18% e 11%.
“Impossibile non analizzare come ad oggi, il margine di guadagno -spiega Moscaritolo- resti sempre troppo sbilanciato verso gli anelli finali della filiera. Se all’agricoltore rimane non più del 13% del valore del prodotto, è inevitabile che vi siano squilibri, che le superfici coltivate diminuiscano, che quando i prezzi sono alti i produttori cerchino di non vendere per innescare ulteriore tensione. Se, al contrario, la filiera avesse un approccio più etico, con un’equa distribuzione della redditività potremmo ragionare su prospettive diverse”.
Tornando alle previsioni di resa del grano duro per l’Italia, sono pesanti le incognite legate ai cambiamenti climatici. Secondo il Centro di Cerealicoltura e Colture Industriali del CREA, il più importante ente di ricerca dedicato all’agroalimentare, “nelle regioni meridionali, le semine scalari di inizio stagione, dovute alle abbondanti precipitazioni, unitamente alle basse temperature del periodo primaverile hanno provocato un allungamento del ciclo della coltura, costringendola ad una fase di riempimento della granella con temperature in forte aumento. Pertanto, in questi areali, se le condizioni meteorologiche permangono stabili, la produzione media attesa potrebbe essere limitata per effetto della “stretta”.