Quella attuale, in attesa di fare i conteggi definitivi, si sta delineando – secondo le indicazioni contenute nel Rapporto Ismea – una delle peggiori annate di produzione olearia degli ultimi decenni, peggiore in termini di volumi addirittura a quella del 2014. C’è ora da capire come si concluderà per le aziende lucane e per i 92 frantoi attivi (50 nel Potentino e 42 nel Materano) che nel 2016 hanno lavorato poco meno di 10 milioni di kg di olive.
Per fare il punto e riflettere sul futuro la Cia, l’Oprol e il Cno hanno promosso sabato 23 settembre a Grassano (Palazzo Materi, ore 18) un incontro sul tema “Olivicoltura lucana tra paesaggio e territorio”. Il programma dei lavori prevede dopo i saluti del sindaco di Grassano Filippo Luberto interventi del prof. CristosXiloyannis (Unibas), del presidente dell’Ordine degli Agronomi Carmine Cocca, del presidente nazionale Consorzio Olivicolo Gennaro Sicolo. Modera il presidente Cia di Grassano Silvestro Lacertosa e conclude l’assessore regionale all’Agricoltura Luca Braia.
Una prima indicazione positiva sulla campagna olearia 2017 riguarda la qualità che sarà interessante mentre sul fronte del mercato si stanno consolidando gli aumenti in atto già da mesi.
Per la Cia e l’Oprol (l’organizzazione di categoria degli olivicoltori lucani) i punti principali da affrontare sono: il rafforzamento del ruolo dei territori e quindi delle singole OP (Organizzazioni Produttori) del comparto olivicolo, le quali stanno sempre più diventando attori sul mercato di riferimento, oltre che terminali per gli interventi del programma di sviluppo finanziato con fondi Ue; il ruolo propulsivo giocato con gli altri protagonisti agricoli, industriali e commerciali della filiera per uno sviluppo in chiave moderna del settore e per una forte coesione con finalità strategiche.
Il calo produttivo, sia pure a macchia di leopardo–si sottolinea – è dovuto principalmente alle continue variazioni climatiche e alla prolungata siccità e i margini sono sempre più ridotti al punto da non riuscire a remunerare il lavoro degli imprenditori agricoli e dei familiari coinvolti. L’analisi dell’Ismea, in proposito, conferma come l’elevato fabbisogno di manodopera nella fase di raccolta delle olive, l’estrema frammentazione della filiera – che vede produttori, frantoi, raffinerie, confezionatori e distributori spartirsi fasi dell’attività produttiva – e una dipendenza strutturale dagli approvvigionamenti di materia prima estera, rendano particolarmente difficile, alla fase agricola, il conseguimento di un’utile di impresa. Risulta pertanto che per ogni euro speso dalle famiglie per l’acquisto di olio di oliva extravergine, 14 centesimi restano al settore della distribuzione finale per la remunerazione del lavoro e del capitale, quasi 20 centesimi vanno al settore olivicolo, mentre circa 3 centesimi sono assorbiti nel complesso delle fasi di frangitura, confezionamento e commercio all’ingrosso. Ben 25 centesimi finiscono poi all’estero per coprire il fabbisogno di olio vergine ed extravergine sfuso importato e poi confezionato in Italia, mentre i restanti 34 centesimi remunerano tutti gli altri fattori produttivi che sono coinvolti in maniera indiretta nel processo, come l’energia elettrica, prodotti chimici, servizi finanziari, ecc.
Set 21