Giancarlo Vainieri e Sofia Di Pierro (Centro Studi Sociali e del Lavoro): ” C’è molto di Basilicata nell’ultimo Rapporto Censis”. Di seguito la nota integrale.
Quel che vale per il Paese vale ancor più per la Basilicata. Rimpicciolita, invecchiata, con pochi giovani e pochissime nascite. E con la complicazione di un’emigrazione giovanile qualificata che guardiamo attoniti e rassegnati.
Il Censis registra un sentimento di incertezza, dopo il rancore e la cattiveria nella psicologia collettiva del Paese. Insieme alla disillusione, lo stress esistenziale e l’ansia originano gli elementi di “chimica del sociale” nelle pieghe della società che si trasformano in sfiducia.
Le prospezioni, le indagini del Censis hanno colto questi tratti della sovrastruttura della realtà italiana, avanti agli eccezionali cambiamenti epocali, veloci e repentini. Senza una prospettiva di una svolta nelle tante criticità del vivere e lavorare ed in un contesto povero di suggestioni politiche ed ideali forti, gli italiani con il “furore di vivere” si sono ripiegati tenacemente nei loro stratagemmi individuali. Attraverso questi hanno arginato gli aspetti più crudeli e più pericolosi di un imminente crollo, impigliati comunque in un declino strutturale, testimoniato dai ruvidi numeri di una congiuntura economica avversa, per le famiglie, le classi e le generazioni. Specie al Sud e in Basilicata.
Si pensi a quel drammatico fenomeno di occupazione in crescita apparente che conserva nella pancia il bluff della precarietà, del tempo parziale e delle ore lavorate in meno.
Tuttavia sono diversi i contrafforti che a dispetto della crisi gli strati sociali più larghi hanno messo in atto per frenare lo sgretolamento, per tentare un cambio di direzione.
Censis descrive con efficacia la “ricostruzione di alcune piastre di sostegno” per restituire spazio al futuro.
Tra queste innanzitutto una ritrovata vocazione industriale del nostro Paese, il ritorno alla fabbrica come luogo di sviluppo e innovazione che esprime ancora un’idea forte di qualità e di capacità competitiva seppur nel quadro della crisi dell’economia. Quanto è vero questo aspetto per la regione che si riscopre a radicamento industriale.
Alcune aree del nostro Paese, dal triangolo industriale Lombardia-Veneto-Emilia Romagna alla fascia dorsale dell’Adriatico, registrano poi un tasso di crescita del prodotto interno e dei consumi paragonabili alle migliori regione europee. Una riaffermazione della base geografica dello sviluppo che, seppure limitata ad alcune regioni, segnala che l’appartenenza territoriale ridona vigore alla crescita.
Una terza piastra di sostegno è l’attenzione verso i problemi climatici e la tutela dell’ambiente (naturale e costruito), l’idea quindi di un’economia circolare, capace di consumare ma al tempo stesso di rigenerarsi e rigenerare, conferendo una prospettiva futura alle nuove generazioni.
Altra piastra di sostegno è il risparmio privato, sempre più una sorta di assicurazione per il futuro, che ha permesso una sostanziale tenuta sociale a fronte di risorse pubbliche sempre meno adeguate e meno efficienti. Nella regione Banca d’Italia ricorda che cresce il risparmio con progressione evidente.
Si palesa inoltre un atteggiamento di maggiore fiducia nella dimensione europea, nelle sue istituzioni e nella capacità che essa ha di promozione dello sviluppo.
Accanto a queste piastre strutturali vi sono anche degli appigli temporanei,“dei muretti di pietra a secco”, piccoli rinforzi che la cultura contadina nel nostro Paese ha costruito nel tentativo di arginare lo scivolamento verso il basso del terreno che non fanno struttura ma danno sostegno.
Sono muretti a secco la fitta rete di incubatori e acceleratori di imprese innovative nei quali diverse migliaia di giovani tentano una esperienza imprenditoriale; alcune nicchie tecnologiche di piccole imprese che riescono a fare sviluppo, innovazione, tecnologia e a trovare risultati straordinari; e anche i tanti festival, sagre, eventi culturali di ogni genere e scopo, sono esempi di come oggi si cerca di resistere e al contempo di guardare in avanti, restituendo alla società una visione di futuro.
Sul piano politico il decennio non può dirsi concluso. La politica ha mostrato negli ultimi anni una difficoltà ad assumere decisioni che producano gli effetti auspicati. Rinunciando al suo ruolo di decisore la politica ha fallito, ha cioè smarrito se stessa.
Tante, troppe risorse strutturali solo elencate, annunciate e non decise, avviate: la scuola, la giustizia, una nuova riforma sanitaria, senza dire quelle fallimentari nella regione. Lo scenario è pietoso. Nulla per contenere il flusso migratorio, nulla per il digitale, poco per le infrastrutture di rete, per non parlare dei ritardi e del mancato presidio decisionale sui trasporti, i servizi idrici e l’assetto agroindustriale.
Non per aver scelto ma per non averlo fatto, la sfera politica non ha posto lo sguardo in avanti. Eppure l’indagine Censis rileva che una buona politica avrebbe ancora spazio. Se mettesse al centro i temi disoccupazione, situazione economica, debito pubblico, tassazione e meno, immigrazione, terrorismo, ect.
Una speranza, qualcosa di “terzo” può derivare dallo sguardo nuovo del sindacato, lungo un tragitto unitario, aperto al contributo di chi può concorrere ad una governance diversa della regione, con una marcata coloritura libera, sociale di movimento più che di istituzione. E con il pacato “nascondimento” di metodi e figure di potere coeve ad altri tempi. Per “cantare un canto nuovo”. Magari un cammino del popolo lucano, della sabbia, delle formiche, quello dello “stato nascente”, dei momenti di cambiamento dei grandi cicli e di quelli più modesti della storia.