La produzione da parte di panificatori pugliesi di pane, focaccia e bruschette al carbone vegetale, attraverso l’aggiunta alle ricette classiche del colorante E153 carbone vegetale, procedimento vietato dalla legislazione nazionale e da quella europea, fa ancora più male ai panificatori e ai cerealicoltori del Materano autentici custodi del “grano Cappelli” come delle altre 61 varietà di grano duro e della tradizione del pane di Matera e che sono gemellati ai panificatori di Betlemme. Lo sottolinea la Cia della Basilicata evidenziando che sono note le qualità, le tipicità ed i valori con i quali i prodotti agroalimentari italiani si presentano ai consumatori, al punto che il mercato dei prodotti simili, delle contraffazioni del “made in italy” agroalimentare e sofisticazioni è divenuto un affare di oltre 60 miliardi di euro l’anno. La Basilicata, con circa 3,5 milioni di quintali, è la quarta regione in Italia per produzione di grano duro. La nostra farina, per il 60 per cento, è destinata al mercato nazionale e il pane Igp di Matera è la punta di eccellenza della cerealicoltura lucana. Il settore cerealicolo è di grande importanza economica per la Basilicata e per la sua crescita la Regione, tramite il Progetti integrati di filiera (PIF) dedicati a tale comparto, ha investito ben 14 milioni di euro per favorire nuove condizioni culturali e organizzative e di aggregazione tra gli operatori.
Occorre salvaguardare e conservare questa tradizione – afferma Nicola Serio presidente regionale aggiunto Cia- organizzarla con adeguate forme di tutela e farne strumento di sviluppo economico per imprese e comunità locali. I cerealicoltori a noi associati – aggiunge – sono impegnati oltre che sul fronte anti-sofisticazioni anche su quello della competitività del nostro grano duro che regge la sfida di quello estero. La forte competizione del libero mercato determinata dall’arrivo pressoché quotidiano al porto di Bari di grano di origine estera (Ucraina, Kazakhistan, Australia, Canada) sta strozzando i produttori cerealicoli lucani e meridionali, con quotazioni del nostro grano duro molto più basse al quintale, incide particolarmente sulla sicurezza alimentare. E’ ormai risaputo che nella pasta italiana vengono impiegati grani duri per il 70% di origine estera, con seri problemi di qualita’ e sanita’ del prodotto. Abbiamo bisogno di combattere senza tregua l’economia dell’inganno con un sistema coordinato e pianificato dei controlli. Il settore cerealicolo nazionale -evidenzia ancora il dirigente della Cia – è di primaria importanza economica e sociale, è presente nel made in Italy più tipico dalla pasta al pane ai dolci e coinvolge oltre 600.000 aziende agricole che utilizzano oltre 4 milioni di ettari per produrre circa 20 milioni di tonnellate di prodotto. Il valore della Produzione lorda vendibile è di circa 5 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere quasi 20 miliardi di euro di fatturato derivante dalle industrie molitorie, mangimistiche, di panificazione e sementiere. Per la produzione di grano duro, l’Italia resta fra i principali produttori del mondo (la Puglia ha la leadership con oltre il 22 per cento del totale nazionale). Ma -evidenzia Serio – malgrado i segnali di ripresa dello scorso anno, l’Italia ha prodotto il 6,5 per cento in meno. Si tratta di una diminuzione di circa 250mila ettari. Occorre, dunque, arrestare il declino della produzione di grano duro italiano, se vogliamo garantire prospettive produttive e di reddito al sud Italia e soprattutto tutelare il ‘made in Italy’ della pasta, dato che oggi l’industria è arrivata ad approvvigionarsi all’estero per il 50% del proprio fabbisogno ed è necessario salvaguardare l’utilizzo delle sementi certificate, strumento insostituibile per incrementare la produttività e il miglioramento qualitativo”. Per la Cia è importante il legame fra territorio, consuetudini alimentari e tradizioni enogastronomiche: tutto ciò offre identità e sviluppo alle comunità locali. Sono necessarie a Matera iniziative di promozione della vendita diretta dei prodotti dell’azienda agricola, promozione delle “strade enogastronomiche” collegate ai prodotti tipici ed ai vini di qualità, valorizzazione turistica attraverso le tipicità agroalimentari, i Musei del cibo e della tradizione contadina, una ristorazione che si richiama alle ricette e prodotti locali, anche nelle mense pubbliche, l’ospitalità turistica alberghiera che valorizza le tradizioni alimentari.
Gen 06