La “guerra contro il grano italiano, con l’incremento record delle importazioni da paesi come Turchia, Russia e Ucraina è solo l’ultimo caso della “vertenza” che vede Cia-Agricoltori da mesi in mobilitazione. Alla Borsa Merci di Bari, il prezzo del grano duro fino è sceso di 22 euro a tonnellata, attestandosi sotto i 350 euro; quotazioni ancora più basse alla Borsa Merci di Foggia dove, dopo un calo di ben 20 euro, il fino è sceso sotto i 340 euro a tonnellata, il buono mercantile non quota più di 325 e il mercantile è ormai prossimo a scendere sotto i 300. Si tratta delle due Borse Merci che sono indicative delle quotazioni per i cerealicoltori lucani.
“Come in una guerra, stiamo perdendo terreno”, afferma Vincenzo Sicolo, vice presidente nazionale Cia “poiché le semine sono ai minimi storici, si rinuncia a seminare grano, aumenta la dipendenza dall’estero. Serve maggiore trasparenza sui mercati e il riconoscimento dei costi ai cerealicoltori italiani. È inconcepibile che non si proceda all’istituzione del registro telematico sulle giacenze dei cereali, Granaio Italia, importante in termini di maggiore tracciabilità e la cui entrata in vigore viene continuamente rinviata. Così come si attende da tempo uno strumento che certifichi i costi di produzione per definire, in modo chiaro, anche i termini di contrattazione”.
Non solo, i primi dati Cia sulle nuove semine segnalano un preoccupante calo delle superfici coltivate a grano duro di circa 130 mila ettari. Anche a causa dei cambiamenti climatici, si prospetta per il Paese un raccolto tra i più bassi di sempre. E la situazione non è differente per il grano tenero e il mais. Non è pensabile andare avanti senza politiche di contenimento da parte dell’Europa. Le aziende stanno abbandonando le colture. Le istituzioni tutte devono agire rapidamente, il Governo deve dare risposte immediate rispetto alle istanze presentate da troppo tempo, con un documento concreto di proposte, diverse mobilitazioni in piazza e una petizione online “salva-grano” Made in Italy che supera le 75 mila firme. Non si trascurino ancora i rischi economici, sociali e ambientali di questa crisi, non solo per il comparto cerealicolo, ma per l’intero Paese.
La Cia-Agricoltori in Basilicata non è stata mai ferma, né nei mesi scorsi né in queste ore. Stiamo conducendo una battaglia importantissima sui tavoli istituzionali per restituire all’agricoltura italiana ciò che l’Europa, con norme troppo rigide e adottate in un momento di crisi epocale, sta togliendo all’intero comparto, con gravi ripercussioni anche in Basilicata e nel Sud.
Le proposte discusse e contenute in un documento sono sintetizzabili in difesa del reddito dell’agricoltore attraverso una Legge Quadro; la contrazione dei costi con una serie di agevolazioni; la riforma della Pac considerata troppo ferraginosa; indennizzi rapidi ed efficaci contro le calamità naturali. Tra i temi evidenziati nei confronti della Regione: assicurare un fondo mutualistico; per il credito l’istituzione di un fondo rotativo; abbattere i costi del canoni irrigue; scorrimento graduatorie Psr. Dunque non solo emergenze ma anche proposte e progetti strutturali per una reale modernizzazione e competitività dell’ agricoltura lucana. Al primo posto per Cia rilanciare agroalimentare lucano partendo da una più efficace aggregazioni e filiere di prodotto, innovazione tecnologica, servizi assicurativi e credito, agricoltura familiare e opere di civiltà per una reale coesione anche delle aree interne.