Una nutrita delegazione di agricoltori della Cia oggi ha partecipato a Roma alla manifestazione per rivendicare la centralità dell’impresa agricola e del suo reddito. Le prime ad arrivare a Roma un gruppo di “Donne in Campo”.
Crisi di mercato e concorrenza estera, filiere e manodopera, aree interne e fauna selvatica, risorse idriche e consumo di suolo, ambiente e fake news i temi chiave che Cia ha portato in piazza nell’interesse della salute pubblica, dei territori, della sovranità alimentare e del Paese. E’ da tempo che i cittadini di Potenza assistono alle “scorribande” di cinghiali nei quartieri nonostante l’allarme lanciato dagli agricoltori i primi danneggiati dalle stesse scorribande e a chiedere l’incremento dell’abbattimento.
“In piazza per manifestare il disagio che l’agricoltura lucana ha subito in questi anni e che sta subendo tuttora -sottolineano i manifestanti – in un’annata in cui tutte le produzioni sono entrate in piena difficoltà a causa dei cambiamenti climatici e la poca redditività all’interno della filiera. La Cia ci sta mettendo la faccia e l’impegno per trovare delle soluzioni, per garantire continuità e forza alla nostra meravigliosa agricoltura, fondamentale per mantenere il paesaggio, dare valore aggiunto al Made in Italy, e portare redditività diffusa nel nostro territorio”. “Spesso, a causa dello scarsissimo valore riconosciuto agli agricoltori per il loro eccellente lavoro in termini di qualità e standard di sicurezza alimentare, mette le aziende agricole nelle condizioni di non raccogliere nemmeno, di lasciare il prodotto sulle piante, perché con certi prezzi al ribasso non si riescono a coprire nemmeno i costi di produzione. Per tenere artificiosamente bassi i prezzi da corrispondere agli agricoltori italiani, spesso si usa la clava delle massicce importazioni anche di prodotti per i quali l’Italia potrebbe essere autosufficiente.
E mentre i listini dei cereali sono in caduta libera (-40%), “il carrello della spesa si fa più pesante con l’inflazione, che fa esplodere il divario – sottolinea Cia – tra i prezzi pagati agli agricoltori e quelli sugli scaffali dei supermercati. Oggi un produttore prende 35 centesimi per un chilo di grano duro, mentre un pacco di pasta costa 2,08 euro, con un aumento del 494% dal campo alla tavola”. Stessa dinamica sul latte: all’allevatore vanno 52 centesimi al litro, ma il consumatore per comprarlo spende 1,80 euro (+246%).
Di fronte alla fiammata del “carrello della spesa alimentare”, alcuni prodotti simbolo del Made in Italy agroalimentare hanno visto i listini crollare. In un anno prodotti agricoli, cibi e bevande sono aumentati sullo scaffale dell’11%. Nello stesso periodo anche il prezzo della pasta di semola di grano duro è cresciuto al consumo dell’11%. E mentre si verificava ciò, il prezzo del grano duro Made in Italy è crollato del 40%. Una situazione paradossale che impone un cambio di passo da parte delle Istituzioni per tutelare gli agricoltori e il loro reddito lungo la filiera. I margini per il raggiungimento dell”obiettivo ci sono. Dal campo alla tavola i prezzi crescono in media a tre cifre. Per fare qualche esempio: prendendo a riferimento il periodo agosto-settembre 2023: per un kg di pomodori 1,13 all’agricoltore e 3,73 euro il prezzo finale, aumento del +230%. Aumento del 246% anche per il latte: all’allevatore vanno 0,52 euro mentre il consumatore per comprare quel latte spende 1,80 euro.
“Noi non siamo il problema, ma la soluzione!”, ha ripetuto più volte dal palco il presidente nazionale, Cristiano Fini, rivendicando il ruolo chiave del settore, anche nella transizione green. “A dispetto di tutte le fake news – ha detto Fini – gli agricoltori non inquinano, rispettano da anni gli impegni ambientali anche mettendo a rischio i loro profitti; producono energie alternative e non sprecano acqua, ma la usano per produrre cibo di qualità. Senza agricoltura, il Made in Italy non può esistere e la sicurezza alimentare non ha garanzie”.