Un esempio di Turismo Rurale integrato è il Museo dell’Olio di Colobraro, dove le attività proposte hanno l’obiettivo di promuovere la corretta cultura dell’olio extra vergine di oliva ma inevitabilmente promuovono il centro storico, la storia e la cultura popolare.
La prima visita al Museo, con la riapertura in base alle disposizioni previste dal dpcm del 15 gennaio 2021, ha visto la partecipazione di Rudy Marranchelli vicepresidente nazionale dei giovani della CIA, Vitina Marcantonio de “L’Informatore Agrario”, Vito Laviola imprenditore agricolo del Metapontino e del Presidente del Consorzio dei Fagioli IGP di Sarconi, Antonio Racioppi. Visita che ha posto le basi per uno scambio di idee con l’intenzione di iniziare un percorso comune per raccontare e far conoscere la Basilicata delle eccellenze.
Il Museo dell’olio di Colobraro, risalente alla fine dell’800, si trova all’interno di un antico frantoio appartenente alla famiglia Gialdino. Di tipo tradizionale e discontinuo con un sistema di estrazione a pressione, custodisce una serie di macchinari che costituiscono preziose testimonianze di un mondo agricolo in estinzione: la “molazza” a tre macine in pietra, il torchio a vite e la pressa idraulica (entrambi con fiscoli), ziri, giare, strumenti di peso e di misura, vari utensili e suppellettili. Vengono proposte varie attività: visite guidate museali, degustazione di prodotti tipici lucani, visite e laboratori didattici da parte delle scuole, vendita di olio evo e assaggi di olio in purezza accompagnati da una lezione sulle proprietà organolettiche dell’olio extra vergine di oliva.
La Basilicata dei piccoli borghi e delle eccellenze agroalimentari – sottolinea Marranchelli (Agia-Cia) – dunque vuole aprirsi al resto d’Italia e al mondo. Importante vedere giovani e donne impegnati in prima linea, mossi da passione e amore per la propria terra. Un percorso non facile, in questo momento particolare è importante fare rete. La ripartenza dipende dalla capacità d’interpretare il cambiamento, guardando “oltre il proprio orto”, ispirandosi a una logica complessiva di sviluppo.
La pandemia ha amplificato un problema che l’Italia aveva già, rappresentato dalla difficoltà a invertire il fenomeno dello spopolamento dalle aree interne, che prosegue da oltre mezzo secolo. L’occasione che ci viene offerta dal Recovery Fund non può essere sprecata. Quando si parla di sanità, educazione, trasporti, comunicazioni e servizi, dobbiamo pensare che la parte del Paese oggi più fragile può e deve poter offrire nuove opportunità di vita e di lavoro ai cittadini. In questo senso l’agricoltura, attraverso i programmi regionali di sviluppo rurale, vuole giocare la sua parte. L’agricoltura non si limita solo alla produzione di derrate alimentari, gli agricoltori sono anche custodi e promoter dei territorio, le aziende sono sempre più multifunzionali, capaci di offrire servizi alle comunità o, come nel caso dell’Azienda Agricola gestita da Giusi D’Oronzio a Colobraro, diventare attrattore turistico, presidio storico-culturale, luogo didattico-esperienziale.
La ripartenza dei piccoli borghi – continua Marranchelli – ha un’anima agricola e deve agire in un’ottica d’insieme, con l’obiettivo di costruire veri e propri sistemi imprenditoriali territoriali interconnessi, dove le attività produttive e le forze sociali possano fare rete per resistere meglio alla crisi.