Il nuovo marchio europeo d’origine e tutela “prodotto di montagna”, secondo il regolamento europeo pubblicato ieri in Gazzetta Ufficiale, apre nuove e rilevanti opportunità alle aziende agricole e zootecniche lucane che operano in aree montane e svantaggiate. E’ il commento della Cia-Confederazione Italiana Agricoltori Basilicata sottolineando che ovviamente tali produzioni approderanno sul mercati solamente se rispettosi di rigorosi parametri imposti dal regolamento europeo. Ad esempio nel caso degli allevamenti, gli animali non solo dovranno aver trascorso almeno gli ultimi due terzi del loro ciclo di vita in aree di altura, ma dovranno essere stati alimentati con almeno il 50 per cento di mangimi prodotti in montagna.
Secondo la Cia questo regolamento, che è da considerarsi positivo, si inserisce dentro un più vasto paniere di norme tutte tese alla trasparenza, alla chiarezza e alla tracciabilità delle produzioni agricole e alimentari, con un tangibile vantaggio per produttori e consumatori.
Nel ricordare che la Cia ha promosso da tempo la costituzione dell’Arppa (Associazione piccoli produttori agricoli), a sostegno del consistente reticolo di piccole e medie aziende agricole caratterizzate dal lavoro quasi esclusivamente familiare in gran parte ad indirizzo misto orticolo-olivicolo-viticolo, zootecnico cerealicolo, silvo-forestale e solo in pochissimi casi ad indirizzo monoculturale, nella nota si sottolinea la necessità di avviare una prima valutazione circa i contenuti e le disposizioni del “Pacchetto qualità”, approvato dall’Ue, in materia di indicazione di origine delle produzioni agro-alimentari, con particolare riguardo alla possibilità di utilizzare le diciture “Prodotto locale” e “Prodotti di montagna” e le altre opportunità ivi previste in materia di luoghi di produzioni.
Quello delle piccole produzioni agro-alimentari lucane -spiega la Cia lucana- è un segmento diffuso e importante che caratterizza e rafforza il settore primario anche in Basilicata; infatti, sono sempre di più le aziende di ogni dimensione che decidono di chiudere la filiera al proprio interno e che rivendicano su tale materia un quadro di riferimento normativo puntuale, chiaro, agibile. In particolare, nella regione risultano oltre 23.000 le aziende con meno di 2 ettari di Sau, oltre 15.000 gli allevamenti da cortile e suinicoli prevalentemente per autoconsumo e piccole trasformazioni familiari, oltre 5.000 le aziende vitivinicole con superficie sotto le 30 are, 33.000 quelle olivicole,circa 15.000 gli orti familiari, solo per citare i numeri a volte inespressi e che rappresentano un tessuto produttivo nascosto e silenzioso che sorregge molte famiglie della comunità lucana.
Tali aziende – evidenzia Antonio Nisi, presidente della Cia lucana – spesso producono alimenti tradizionali di elevata qualità e tipicità con ricadute non solo sulla microeconomia ma su fattori determinanti quali il presidio del territorio (specie montano), la ruralità, il paesaggio agrario, l’agriturismo .I quantitativi per la vendita, che avviene prevalentemente in ambito locale e di prossimità, sono di modesta entità, in quanto tali produzioni hanno assolto fino ad oggi al prioritario obiettivo dell’autoconsumo familiare. Sempre più tali produzioni per le intrinseche proprietà anche nutrizionali sono apprezzate e sempre più ricercate. L’agricoltura di montagna, oltre alla produzione di alimenti di alta qualità, fornisce molteplici servizi per la comunità, come il mantenimento di un paesaggio aperto e fruibile, la conservazione della biodiversità, la protezione delle risorse naturali, il mantenimento di un livello minimo di popolazione in tali particolari aree rurali, la salvaguardia delle infrastrutture e la conservazione della cultura e delle tradizioni. A causa dei limiti posti alla produzione dalle condizioni naturali nelle zone montane e della distanza dai mercati queste ultime non sono in grado, attraverso i processi di crescita aziendale e razionalizzazione, di fronteggiare la sempre maggiore concorrenza delle altre zone. Per assicurare un futuro all’agricoltura di montagna è necessario riconoscere una compensazione per le sue prestazioni a favore del bene comune che sia adeguatamente elevata e che corrisponda alle molteplici funzioni svolte dall’agricoltura in tali aree.