L’effetto gelo che da giorni ha colpito anche la Basilicata si fa risentire in particolare sui prodotti ortofrutticoli colpendo duro i listini all’ingrosso di molte verdure, ortaggi e frutta di stagione, con impennate che si riflettono lungo tutta la filiera. A riferirlo è la Cia-Agricoltori Basilicata secondo cui i campanelli d’allarme sono riscontrabili nei mercati all’ingrosso del Metapontino dove, secondo le rilevazioni Ismea, nei giorni scorsi gli ortaggi hanno superato il 55% di rincaro (cavolfiore) e il 10% (scarola), le arance il 20%, con situazioni analoghe per i mercati di Foggia (finocchi più 23%, lattuga più 18%) o Bari (sedani più 7%). A rincarare, in particolare, sono dunque cavolfiori, finocchi e lattughe; quasi raddoppiati i listini delle melanzane da serra che, insieme ai pomodori, avevano risentito dell’ondata del freddo di novembre. Meglio per i carciofi dove i rialzi non superano il 30% e per le zucchine con aumenti del 20%. Praticamente spariti i fagiolini italiani, non adatti al clima di questo periodo, con la maggior parte del prodotto presente sui banchi dell’ortofrutta che arriva dal Nord Africa.Il risultato è che le verdure possono scarseggiare nei mercati all’ingrosso proprio a causa dei prezzi troppo elevati, sui quali occorre aggiungere poi una media del 60% sul prezzo della vendita al dettaglio. Una situazione che si ripercuote oltre che sui produttori direttamente sui consumatori e che si aggrava perché il gelo ha l’effetto di rendere frutta ed ortaggi “più brutti” , fattore che determina la scelta del consumatore a “scartare” il prodotto. Accade che in Italia finiscono ancora nel bidone 146 kg di cibo a persona. Succede nella Grande distribuzione organizzata, con i prodotti in scadenza o invenduti, fino ad arrivare alle mura domestiche, dove si concentra più del 40% del totale degli sprechi alimentari del Paese. La cultura contadina, invece – sottolinea la Cia – non conosce lo spreco. Gli agricoltori non gettano mai niente dei prodotti della terra e del loro lavoro: anche quelli meno presentabili, quelli “brutti”, sono tutti buoni. I bitorzoli di una verdura, qualche ammaccatura in un frutto, è una questione di estetica non di qualità. Così come in cucina, dove si può dare valore anche agli avanzi della tavola, con le ricette contadine che usano ciò che resta del pasto per ri-creare piatti eccezionali.
Su tutto il territorio quella di recuperare la frutta e la verdura “brutta” è una prassi ormai consolidata degli agricoltori che fanno vendita diretta. “Perfino quando si va a fare la spesa, più che alla qualità, spesso si bada ai dettagli estetici: il colore di un frutto, qualche ammaccatura sull’ortaggio. Da qui lo spreco, lo scarto, con il 20% circa del cibo sugli scaffali dei supermercati che finisce nel bidone -ha spiegato il presidente della Spesa in Campagna, Paolo Colonna-. Noi invece insegniamo ai consumatori che vengono in azienda, nei mercatini degli agricoltori, che una mela un po’ rovinata certo non è una mela cattiva, che fino a cinquant’anni fa i nostri nonni mangiavano prevalentemente frutta e verdura brutta ma buona”. Qui sta anche il valore per così dire didattico della vendita diretta, che consente di far dialogare direttamente il consumatore con il produttore.
Si tratta – sottolinea una nota della Cia – di un progetto molto importante già avviato sperimentalmente in Basilicata da qualche tempo con l’adesione di una trentina di aziende, in gran parte agrituristiche e sul quale puntiamo con la massima decisione. Al momento la spesa in campagna non ha certo i numeri della grande distribuzione, né dei negozi e dei mercati. Crediamo, però, che se si porta avanti un’iniziativa seria e responsabile, questo tipo di vendita diretta può arrivare a coprire il 4-5 per cento dell’intero mercato”.
Oggi andare in campagna a fare acquisti permette, d’altra parte, risparmi significativi per i consumatori. Se, ad esempio, si spendono 100 euro di prodotti alimentari, c’e un taglio netto di 30 euro rispetto alla tradizionale catena distributiva. La vendita in azienda agricola – rileva ancora la Cia- è un chiaro esempio di una filiera cortissima, direttamente dal produttore al consumatore, che porta vantaggi reciproci per ambedue le parti. Un’iniziativa estremamente valida per integrare in modo adeguato il reddito delle piccole e medie aziende, specialmente quelle che si trovano in zone montane, collinari e periurbane. Nello stesso tempo per i cittadini rappresenta un’occasione ideale per acquistare un prodotto di qualità a costi contenuti”.
D’altra parte, una filiera lunga comporta una spesa maggiore per i consumatori. Oggi i prezzi dei prodotti, nel loro viaggio dal campo alla tavola, subiscono, proprio a causa dei troppi passaggi e dei troppi intermediari e dei costi di trasporto, aumenti considerevoli.
E questo si riflette in maniera negativa per le tasche dei consumatori che per acquistare anche prodotti di prima necessità sono costretti a fronteggiare continui e insostenibili rincari.