Per i consumatori della Basilicata, la regione considerata la “più pastaiola” d’Italia con una punta di consumo negli ultimi anni sino a toccare i 42 kg pro capite, che divisi per i 365 giorni dell’anno, fanno l’equivalente della quantità minima di un piatto di spaghetti ogni tre giorni (rispetto alla media nazionale di 24 kg pro capite, vale a dire un piatto di spaghetti ogni 5 giorni), la sentenza del Tar del Lazio che ha respinto la richiesta di sospendere il decreto interministeriale che introduce l’obbligo di indicazione d’origine del grano e della pasta, ha un “sapore” particolare. E’ il commento della Cia-Confederazione Agricoltori della Basilicata.
Leonardo Moscaritola, responsabile GIE-Cia (Gruppi Interesse Economico) cerealicolo sottolinea che i nostri produttori di grano duro si interrogano sul futuro del comparto che è “aggredito” dalla spietata concorrenza di Paesi extra Ue con prezzi da svendita perchè il grano non è certo di qualità e subisce i controlli dovuti da noi, specie se biologico. Per un pastificio che al Nord interrompe la produzione da noi, a Matera, ce n’è uno che riapre dopo troppo tempo e che potrebbe dare un nuovo rilancio alla filiera cerealicola lucana.
Il decreto grano/pasta – riferisce il dirigente Cia – prevede che le confezioni di pasta secca prodotte in Italia dovranno avere obbligatoriamente indicate in etichetta le seguenti diciture: a) Paese di coltivazione del grano: nome del Paese nel quale il grano viene coltivato; b) Paese di molitura: nome del paese in cui il grano è stato macinato.Se queste fasi avvengono nel territorio di più Paesi possono essere utilizzate, a seconda della provenienza, le seguenti diciture: Paesi UE, Paesi NON UE, Paesi UE E NON UE.Se il grano duro è coltivato almeno per il 50% in un solo Paese, come ad esempio l’Italia, si potrà usare la dicitura: “Italia e altri Paesi UE e/o non UE”.
L’arrivo frequente al porto di Bari di navi in particolare dall’Ucraina e dal Canada con grossi quantitativi di grano estero – dice ancora Moscaritola – è un ulteriore duro colpo per la nostra cerealicoltura. Gli agricoltori sono così costretti a competere con l’immissione nel mercato di frumento proveniente dall’estero, chissà come e da chi prodotto mentre in Italia si registra oltremodo una produzione straordinaria di 9 milioni di tonnellate di frumento a fronte di una media annua di 7 milioni di tonnellate (+ 29%). L’effetto determinato è lo svuotamento delle scorte in condizioni che gli esperti chiamano di dumping (importazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno, oppure addirittura come avviene sotto costo, da parte di trust già padroni del mercato interno). “Altro che difesa del “made in Italy” o di “brand Italia” per l’agro-alimentare, qui – dice Moscaritolo – siamo di fronte all’ennesimo e gravissimo caso di attacco ad un prodotto simbolo. La pasta italiana e con essa la cottura perfetta, vanto della pastasciutta all’italiana, tra qualche anno sarà solo un bel ricordo se i pastifici continueranno a lavorare grano estero”. La Cia – che ha lanciato lo scorso autunno lo “sciopero della semina” come mobilitazione dei cerealicoltori – riferisce che già da qualche anno cresce la tendenza di imprenditori agricoli a non seminare, una scelta che dipende dalle quotazioni basse del grano e dal fattore costi, soprattutto visto che oggi i prezzi di mercato, caratterizzati da una crescente volatilità, non riescono a compensare gli oneri da fronteggiare. I costi produttivi in costante aumento (più 4,4 per cento all’inizio dell’anno, di cui più 6,4 per cento solo per i carburanti) – si evidenzia – hanno portato gli imprenditori del settore al netto rialzo (pari al più 19,1 per cento) dei terreni lasciati a riposo. Tanto più nell’ambito dei cereali, dove -nonostante gli aumenti di listino- il prezzo di grano duro e grano tenero pagato agli agricoltori italiani resta tutt’ora tra i più bassi del mondo.
Il progetto della Cia contiene proposte per un sistema di quotazioni legato ai parametri qualitativi analitici; differenziare la qualità e classificarla analiticamente oltre ai classici parametri (peso specifico, proteine, glutine, colorazione; certificare e tracciare le produzioni; una campagna promozionale e formativa per le qualità elevate certificate; chiudere la filiera con industria pastaia e della panificazione; una normativa di riferimento per la contrattualizzazione delle varie fasi della filiera; azione formativa ed informativa verso i consumatori.