La deputata Mirella Liuzzi e il senatore Vito Petrocelli del Movimento 5 Stelle in una nota commentano la notizia dell’Eni relativa alla collocazione in cassa integrazione guadagni dei dipendenti in servizio al Centro Oli di Viggiano dopo l’inchiesta della Magistratura di Potenza che ha bloccato le attività di estrazione del petrolio.
Liuzzi e Petrocelli: “La cassa integrazione per addossare responsabilità politiche e sociali a chi lotta per la legalità e per la tutela ambientale e sanitaria?” Di seguito la nota integrale.
Il colosso Eni, 122,22 miliardi di euro di fatturato, 78 mila dipendenti in tutto il mondo, alza il pugno sui dipendenti lucani nella periferia più estrema del suo impero, con un’operazione meramente strumentale, che ha anche un secondario e non meno importante scopo di contro-informazione. Col quale cerca di garantirsi una specie di immunità sociale e mediatica.
All’indomani dell’inchiesta della magistratura potentina sulla contraffazione dei codici per lo smaltimento dei rifiuti tossici e pericolosi prodotti al Cova di Viggiano, la società petrolifera italiana avvia le procedure per la messa in cassa integrazione di 430 dipendenti del centro oli lucano.
Che sia strumentale, lo si deduce anche dalle precisazioni della stessa magistratura, la cui azione giudiziaria è stata condotta proprio per non ostacolare lo svolgersi delle attività del Cova, al fine di consentire la normale caratterizzazione dei reflui.
La richiesta di cassa integrazione è l’ennesima dimostrazione dell’arroganza dell’Eni, che alla Basilicata ha restituito la milionesima parte di ciò che ha prelevato dal 1997, senza contare ciò che lascerà da bonificare dopo il depauperamento del territorio in atto. Una vera e propria prova di forza con la quale cerca di cavalcare e alimentare il disagio base di una regione alla quale vengono continuamente assegnati i primati negativi di disoccupazione, povertà ed emigrazione. A dimostrazione che al petrolio gli si dà un po’ troppo facilmente lo status immeritato di “oro nero”.
L’inchiesta, resa nota agli italiani per il subappalto clientelare di 2,5 milioni di euro al compagno dell’ex ministro Federica Guidi, poi costretta a dimettersi per l’emendamento a favore della Total, nella realtà ha il suo centro di gravità truffaldino nella gestione delle acque e dei fanghi di lavorazione delle attività estrattive e di raffinazione. Ai quali, nel loro viaggio verso lo smaltimento da Viggiano, in Val d’Agri, a Tecnoparco, in Valbasento, venivano assegnati codici errati per tipologia di smaltimento.
Rifiuti che l’Eni potrebbe anche smaltire in loco, con un efficace impianto mobile il cui progetto, di una società del gruppo Eni, la Sindyal, è però depositato e fermo dal 2013 all’ufficio compatibilità ambientale della Regione.
Forse perché l’impianto mobile, che è anche a basso impatto ambientale, avrebbe probabilmente avuto l’effetto collaterale di far scoprire l’assegnazione errata del codice 161002 ai rifiuti tossici e pericolosi, e avrebbe interrotto il flusso di rapporti con Tecnoparco?
L’azione di forza dell’Eni in Basilicata, contro i più deboli del ciclo produttivo del petrolio, avrebbe anche una lettura internazionale e strettamente legata ai bassi profitti attuali, dovuti a un valore di borsa del petrolio sotto le cinquanta euro a barile. La necessità dell’Iran di immettere sul mercato internazionale gas e petrolio in grosse quantità, perché sta uscendo da un lungo embargo commerciale, ha fatto fallire a Doha, in Qatar, l’accordo tra i Paesi Opec su una possibile riduzione della produzione mondiale di petrolio, al fine unico di rialzare il prezzo del barile e aumentare i profitti.
La congiuntura specifica, ha fatto sì che Eni si facesse due conti in tasca e con la “scusa ” del sequestro ha deciso di avviare la procedura per la Cig, per prendere con una sola fava i classici due piccioni: recupero dei profitti sulla pelle di quattro operai, fermando un impianto attualmente non molto remunerativo, e condizionamento mediatico per isolare chi si impegna nella denuncia sociale.
C’è da scommettere che nei prossimi mesi, quando il prezzo del barile tornerà a salire, Eni sbloccherà il tutto. E questo dimostrerebbe ulteriormente come le risorse estratte in Basilicata non siano destinate ai riequilibri del bilancio energetico della nazione, ma esclusivamente alla vendita per rimpinguare il solo bilancio aziendale. Contravvenendo anche a quanto ripetuto più volte dal Governo centrale in materia di risorsa energetica nazionale.
Gianni Leggieri, consigliere regionale Movimento 5 Stelle, commenta la notizia della cassa integrazione guadagni al centro oli di Viggiano: “Non possiamo tollerare la strategia del ricatto occupazionale”. Di seguito la nota integrale.
La strategia messa in campo da ENI per far pressione sull’opinione pubblica, sui politici lucani e sulla magistratura nell’ennesimo tentativo di poter continuare ad agire indisturbata è ormai evidente. La carta del ricatto occupazionale, con l’immediato collocamento in cassa integrazione dei lavoratori del Centro Oli di Viggiano, è l’ennesimo esempio di arroganza di una compagnia che pensa di poter fare tutto senza alcun rispetto per questa Regione e per il popolo lucano. Una strategia del ricatto che indigna e rende evidente l’etica imprenditoriale di chi è venuto in questa meravigliosa terra solamente per colonizzarla e che sta lasciando solamente morte e distruzione anche grazie alla compiacenza di parte della politica lucana. La decisione di procedere alla Cassa integrazione e quella di bloccare i contratti con i fornitori è un colpo basso presa al solo fine di utilizzare tali azioni come strumento di ricatto rispetto alla politica e alla magistratura. La Cassa integrazione attivata dalla compagnia petrolifera non era necessaria, perché nell’ordinanza di sequestro delle vasche dell’impianto, il Gip aveva offerto una via d’uscita al blocco: modificando le categorie di rifiuti (la questione dei cosiddetti codici Cer) ci sarebbe stato il dissequestro delle due vasche. La scelta di questa opzione, però, avrebbe implicitamente costretto l’Eni ad ammettere l’irregolarità.
È chiaro che da parte di Eni, con decisioni incomprensibili, immorali e spregiudicate, si sta cercando semplicemente di alzare la tensione, di creare una spaccatura tra lavoratori e cittadini che chiedono sicurezza e rispetto della legge. E’ chiaro che si vuole innescare una guerra tra poveri che alla fine porterà giovamento solamente all’ENI e a questi novelli faccendieri spregiudicati e privi di ogni morale. Non si deve in alcun modo cadere nel tranello e cedere rispetto ai ricatti di un’azienda che sino ad oggi ha tratto solamente giovamenti da una attività estrattiva condotta in maniera spregiudicata, senza controlli e in totale dispregio della legge. Non si deve arretrare di un centimetro e anzi è proprio questo il momento di chiedere al “cane a sei zampe” di compiere quei sacrifici che per anni invece sono stati compiuti dai cittadini lucani. Al Presidente Pittella chiediamo di essere coerente rispetto a quanto affermato in consiglio regionale, chiediamo pertanto un intervento immediato sulla questione, chiediamo che faccia sentire forte la voce della Basilicata e che non ceda ai ricatti di Eni, ma pretenda il rispetto degli accordi e della legge. Questo è il momento di passare dalla parole ai fatti e di dimostrare che quanto affermato in consiglio reginale lo scorso 19 aprile in occasione del dibattito sulla sfiducia non erano solamente parole di circostanza, ma realmente il segno di un cambio di rotta della politica lucana. Il Presidente Pittella non può continuare a rimanere silenzioso ed inerme rispetto a queste questioni.