“Non possiamo che esprimere soddisfazione per le dichiarazioni del Ministro delle Politiche Agricole Gian Marco Centinaio che ha annunciato l’intenzione del Governo di chiedere al Parlamento di non ratificare il trattato CETA e gli altri accordi simili, come del resto previsto nel contratto di governo”. E’ quanto fa sapere Coldiretti Basilicata. “La decisione di non ratificare il trattato di libero scambio con il Canada (CETA) è una scelta giusta – aggiunge – di fronte ad un accordo sbagliato e pericoloso per l’Italia contro il quale si è sollevata una vera rivolta popolare che ci ha visti protagonisti su tutto il territorio nazionale dove hanno già espresso contrarietà 15 regioni, 18 province 2500 comuni e 90 Consorzi di tutela delle produzioni a denominazioni di origine”. L’accordo è entrato in vigore in via provvisoria il 21 settembre del 2017 in attesa di essere ratificato da tutti i Parlamenti degli Stati membri dell’Ue ma al momento, per le forti opposizioni, si sono espressi solo 11 Paesi su 28 ossia Danimarca, Lettonia, Estonia, Lituania, Malta, Spagna, Portogallo, Croazia, Repubblica Ceca, Austria e Finlandia. “Per l’Italia l’opposizione è giustificata dal fatto che con il CETA per la prima volta nella storia l’Unione Europea legittima in un trattato internazionale – denuncia Coldiretti Basilicata – la pirateria alimentare a danno dei prodotti Made in Italy piu’ prestigiosi, accordando esplicitamente il via libera alle imitazioni che sfruttano i nomi delle tipicità nazionali, dall’Asiago alla Fontina dal Gorgonzola ai Prosciutti di Parma e San Daniele, ma sarà anche liberamente prodotto e commercializzato dal Canada il Parmigiano Reggiano con la traduzione di Parmesan. “L’intesa – sottolinea Piergiorgio Quarto, presidente di Coldiretti Basilicata – rappresenterebbe un duro colpo soprattutto al settore cerealicolo, essendo il Canada un forte produttore di grano duro, e questo di fatto cancellerebbe la produzione lucana. A questo aggiungiamo la cancellazione di dazi, di controlli sulle presenze di glifosfati e di altre sostanze che le nostre norme vietano di utilizzare nelle coltivazioni. E’ l’ennesimo favore alla grande industria, che potrebbe trovare conveniente sul piano logistico e dei costi produrre in Canada, utilizzando marchi registrati che si ispirano al made in Italy. Ci attiveremo in ogni sede – conclude – per scongiurare che un accordo di questo tipo, regolato da una semplice commissione paritetica su import ed export, possa cancellare le nostre produzioni non solo di grano duro ma anche di altre tipicità”.
Giu 14