Aziende agricole sott’acqua con ettari di terreno sommersi e coltivazioni di pomodoro ed ortaggi pronte per la raccolta distrutte dalle tracimazione dei fiumi. E’ quanto emerge dal primo monitoraggio effettuato dalla Coldiretti nelle campagne dell’area nord della Basilicata, ed in particolare di Palazzo San Gervasio sugli effetti delle abbondanti piogge che per circa dieci giorni hanno colpito la Basilicata. Molti campi sono stati letteralmente allagati – fa sapere Coldiretti Basilicata – con la conseguente notevole perdita della qualità del pomodoro che, com’è immaginabile risulta deteriorato e di qualità non buona, tale da risultare anche poco appetibile dalle industrie. La raccolta continuerà, anche se ormai l’annata, già difficile per le note vicende legate al prezzo dei cereali, si sta rivelando tra le più difficili degli ultimi anni. “ Siamo di fronte ad un repentino capovolgersi del tempo conseguente ai cambiamenti climatici in atto – evidenzia Piergiorgio Quarto, presidente Coldiretti Basilicata – che si manifestano con ripetuti sfasamenti stagionali ed eventi estremi anche con il rapido passaggio dalla siccità all’alluvione, precipitazioni brevi e violente accompagnate anche da grandine con pesanti effetti sull’agricoltura italiana che negli ultimi dieci anni – ha subito danni per 14 miliardi di euro a causa delle bizzarrie del tempo”. Quella a nord della regione è un’area già penalizzata dalle perdite dovute al calo del prezzo del grano e non solo. “Nelle campagne è deflazione profonda – evidenza Francesco Manzari, direttore Coldiretti Basilicata– con i prezzi crollati per raccolti e per gli allevamenti che non coprono più neanche i costi di produzione o dell’alimentazione del bestiame. Oggi gli agricoltori devono vendere piu’ di tre litri di latte per bersi un caffè o quindici chili di grano per comprarsene uno di pane. Le coltivazioni come il latte e la carne subiscono la pressione delle distorsioni di filiera e dal flusso delle importazioni selvagge che fanno concorrenza sleale alla produzione nazionale perché vengono spacciati come Made in Italy per la mancanza di indicazione chiara sull’origine in etichetta. A rischio – conclude Manzari – è il futuro di prodotti simbolo del Made in Italy, ma anche un sistema produttivo sostenibile che garantisce reddito e lavoro a centinaia di migliaia di famiglie e difende il territorio nazionale dal degrado e dalla desertificazione”.
Set 14