L’enoturismo che in Basilicata si concentra quasi esclusivamente nel Vulture-Melfese e che in Cantine Aperte ha un appuntamento tradizionale per gli appassionati del vino può diventare un’opportunità anche per le aree più interne della Basilicata come la Collina Materana. A sostenerlo è Paolo Carbone, della Cia Basilicata sottolineando che siamo in presenza di un potenziale che c’è, è lì che aspetta solo di essere stimolato, e proposto all’esterno nella maniera più efficace ed economicamente redditizia nella strategia della multifunzionalità dell’azienda agricola. Ciò – aggiunge – può avvenire coinvolgendo direttamente gli agricoltori-vitivinicoltori e le aziende agrituristiche che sono la “rete” ideale per realizzare itinerari eno-gastronomici, di turismo rurale e culturale.
Per avere un’idea di cosa rappresenta l’enoturismo il comparto è capace di generare complessivamente in Italia un giro d’affari tra i 4 e i 5 miliardi di euro, quota rilevante ma ancora ben al di sotto di un potenziale di almeno due-tre volte superiore.
La Collina Materana come quella più nota del Vulture è frenata da una serie di ataviche debolezze competitive: la generale incapacità di fare sistema tra i vari attori del settore, il mancato dialogo tra operatori turistici, lo scarso utilizzo delle tecnologie e del web, la ridotta capacità nella valorizzazione delle produzioni, la bassa notorietà e reputazione. Di qui l’idea progettuale della Cia di promuovere uno specifico itinerario di nicchia che valorizzi il patrimonio delle piccole cantine, del cosiddetto “vino paesano” che non può fregiarsi di denominazioni di origine controllata e che invece è uno dei efficaci richiami dell’ospitalità rurale promuovendo anche la vendemmia e la vinificazione insieme agli ospiti. I vignaioli italiani rappresentano il nerbo della qualità vitivinicola del nostro paese. É infatti peculiarità tutta italiana il binomio tra produzioni di piccola e media scala ed eccellenza qualitativa. Se per i Doc, Docg, Igp, i vini a denominazione protetta ci sono strumenti e canali di promozione-valorizzazione, per i cosiddetti vini locali che pure rappresentano i 2/3 della produzione vinicola complessiva non ci sono azioni e misure specifiche. Ricordare che la Basilicata non è solo la regione dei grandi vini rossi – l’aglianico s tutti – ma anche un territorio in cui crescono vitigni meno noti, in aree collocate in alta collina: è questa la sfida che si realizza attraverso la vinificazione delle uve di piccoli viticoltori. “Credo fortemente nelle potenzialità dei vitigni di collina – dichiara Paolo Carbone – ed è per questo che sosteniamo i piccoli produttori con mercati di nicchia”. Non si sottovaluti – dice ancora Carbone – che il turismo del vino si collega fisiologicamente ad altre attività ricreative sul territorio e può completare l’offerta esistente come elemento di differenziazione competitiva rispetto ad altre destinazioni prive di questa peculiarità. Invece troppo spesso si lascia l’iniziativa a quelle cantine, relativamente poche, con un’efficace cultura della comunicazione. Un ritardo che si concentra tutto in un termine: ospitalità. A cominciare dalle strutture produttive, con poche cantine che veramente possono aprirsi ai flussi turistici. Allargandoci all’intero territorio questo gap si coglie soprattutto nella mancanza di strutture ricettive. Un turismo, quello enogastronomico, capace di adattarsi ai grandi cambiamenti, riuscendo meglio di altri, a proporre offerte adeguate ai mutamenti dell’economia.
Prendiamo i dati dell’anno 2012: le Città del Vino hanno ospitato turisti provenienti da una miriade di diverse nazioni del mondo, per un totale di 1 milione di visitatori stranieri su un totale di 1 milione e 250 mila presenze turistiche totali.
Il palcoscenico offerto dall’Expo 2015 è una chance troppo ghiotta, soprattutto perché si tratta di un grande evento focalizzato su alimentazione e nutrizione. Ma sinora – afferma Carbone – registriamo grandi delusioni: nei grandi padiglioni del vino quello lucano non c’è.
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