Come sono cambiati gli acquisti al tempo della convivenza con il Covid? Lo ha rivelato una ricerca del rapporto Confcommercio-Censis che ha coinvolto anche imprese del nostro territorio. “”Per quanto riguarda le attività rimaste attive durante il lockdown – mette in luce una nota di Confcommercio Potenza – spicca il commercio al dettaglio, che presenta il dato più elevato (52,4%), ed in particolare quello legato al settore alimentare. Nel 2020 le imprese alimentari hanno migliorato di oltre il 50% il proprio andamento economico, nonostante il peggioramento dei prezzi da parte dei fornitori. Le attività del settore sono riuscite a rimanere aperte, dal momento che vendevano beni di prima necessità. Questa situazione le ha sicuramente favorite, ma sono state anche reattive nel cogliere le opportunità di sviluppo. Prima della crisi solo l’11% offriva ai consumatori la possibilità di effettuare la spesa online. Oggi invece sono il 31%. A Potenza le imprese attive al 2020 sono 449 in aree non del centro storico e 371 nel centro storico con 93 “alimentari” (47 nel centro e 46 in altre aree). Gli esercizi più numerosi sono quelli di vendita di prodotti specializzati: 303 (160 non centro storico e 143 centro). Prosegue il fenomeno di chiusure attività commerciali, specie per l’abbigliamento, dal centro storico (una ventina in meno solo negli ultimi due anni)”.
Secondo il presidente di Confcommercio, Fausto De Mare, per arginare questa situazione bisognerà agire su due fronti: “Da un lato, sostenere le imprese più colpite dai lockdown e introdurre sistemi fiscali nazionale e locale che vengano incontro ai problemi causati dal calo dei consumi.. Dall’altro, mettere in campo un urgente piano di rigenerazione urbana per favorire la digitalizzazione delle imprese e rilanciare i valori identitari delle nostre città”.
Per combattere la desertificazione commerciale bisogna preservare le attività che rendono viva una città. Tra queste spiccano i negozi di vicinato, il cuore pulsante dei centri urbani. Proprio per questo Confcommercio ha lanciato l’iniziativa “Compro sottocasa perché mi sento a casa”, schierandosi al fianco degli acquisti nei negozi di quartiere. La campagna sottolinea l’importanza sia sociale che antropologica delle attività di quartiere, che contribuiscono a dare vita alle città. Con la pandemia anche i negozi di vicinato hanno dovuto adeguarsi implementando le vendite digitali, personalizzando le proposte commerciali e creando una fitta rete di fidelizzazione della clientela.
Bisogna, rilevare come città grandi e piccole – sottolinea De Mare – stiano perdendo a poco a poco il loro ruolo attrattivo, sia sotto il profilo residenziale che dell’offerta merceologica e dei servizi, con conseguente indebolimento dell’offerta turistica e dell’indotto. Inoltre, si può constatare come la disciplina urbanistica risulti, ad oggi, sempre più scollegata dal mutamento continuo che coinvolge gli organismi urbani, non riuscendo a fornire risposte ai repentini processi sociali, economici e ambientali che lì si manifestano. La rigenerazione urbana del sistema città, dunque – aggiunge – come esperimento per dare nuova vita al tessuto economico, sociale e culturale che anima il nostro Paese e per ridare linfa vitale al progressivo indebolimento del rapporto tra urbanistica e comunità locali, per contrastare i fenomeni di desertificazione e le conseguenti ricadute negative, potenziando la vivibilità dei luoghi, riducendo gli spostamenti con i mezzi privati, migliorando la qualità degli spazi pubblici, valorizzando le attività economiche esistenti, agevolando lo sviluppo locale sostenibile e aumentando l’occupazione”.