Lo scostamento dai fabbisogni standard è una delle principali cause dell’aumento dei costi di gestione dei rifiuti che registra in Basilicata, oltre che in Piemonte e Calabria gli scostamenti maggiori (Toscana e Abruzzo le regioni più virtuose), a carico sopratutto dei titolari di pmi. C’è stato un aumento generalizzato anche per la Tari pro-capite: 214,4 euro in Basilicata (la più elevata nel Lazio 261 euro, la più bassa in Molise 130 euro). Tra le attività che pagano di più, ortofrutta, fiorai e pescherie (24,3 euro al mq.); i maggiori aumenti per discoteche, ristoranti, negozi di abbigliamento, librerie. Questi i principali risultati del secondo monitoraggio dell’Osservatorio Tasse Locali di Confcommercio strumento permanente dedicato alla raccolta e all’analisi di dati e informazioni sull’intero territorio relative alla tassa rifiuti (TARI) pagata dalle imprese del terziario. Ennesima beffa per i contribuenti è il fatto che a fronte di costi sempre più alti, calano livello e quantità dei servizi offerti dalle amministrazioni locali: solo 5 Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto) si collocano sopra il livello di sufficienza; nonostante ciò, a quasi tutte le categorie merceologiche si continuano ad applicare coefficienti tariffari in crescita. A livello di imprese, tra le attività che pagano di più, ortofrutta, fiorai e pescherie (24,3 euro al mq.); i maggiori aumenti per discoteche, ristoranti, negozi di abbigliamento, librerie.
Dall’analisi dei dati dell’Osservatorio, si registrano incrementi generalizzati della Tari sulla totalità dei capoluoghi di provincia: a Matera 226,9 euro pro-capite, per un ammontare complessivo della tassa sui rifiuti di 12,1 milioni di euro; a Potenza 200,6 euro pro-capite per 15,2 milioni di euro.
Alla luce di questi risultati, Patrizia Di Dio, membro di Giunta di Confcommercio con delega all’ambiente, chiede di “avviare con urgenza azioni concrete affinché si limiti la libertà fino ad ora concessa ai Comuni di poter determinare il costo dei piani finanziari includendo voci di costo improprie, come i costi del personale, vincolando gli enti locali al rispetto di norme di legge come quella che li obbliga a tenere conto dei fabbisogni”.
Un servizio efficiente di raccolta e gestione dei rifiuti urbani non può che portare benefici all’ambiente, ma anche a quell’irrinunciabile esigenza di decoro, di immagine e di igiene pubblica che dovrebbe caratterizzare normalmente le nostre città. Invece, da anni, registriamo situazioni critiche specialmente in molte città del Sud. Pretendere un servizio adeguato non è solo un’azione a tutela delle imprese ma anche e soprattutto un’azione a tutela di tutti i cittadini e della loro salute. Una città libera dai rifiuti, decorosa e pulita non può che accrescere quel senso civico che invece si sta perdendo e che rischia di alimentare una pericolosissima deriva culturale”.
Manca, ancora una volta – commenta il presidente di Confcommercio Potenza Fausto De Mare – la volontà di instaurare un legame diretto tra produzione di rifiuto e spesa, secondo il principio comunitario “chi inquina paga”. Al contrario sono stati mantenuti i vecchi criteri di produzione “presuntiva” che in questi anni, come dimostra il nostro rapporto, si sono tradotti in condizioni di costo estremamente diversificate sul territorio a parità di attività economica. Per noi è necessario rivedere la struttura del sistema di prelievo affinché vada a riflettere in modo puntuale la reale produzione dei rifiuti da parte delle utenze domestiche e non domestiche. Ancora – dice De Mare – ribadiamo la necessità di operare campagne di misurazione dei rifiuti prodotti presso le attività economiche dovrebbe essere tanto più impellente quanto più ampio sarà il perimetro del rifiuto “urbano” individuato dai criteri di assimilazione. I coefficienti potenziali di produzione sono stati pensati e tarati senza tenere minimamente conto della natura reale di tali spazi e della loro effettiva capacità di generare dei rifiuti. Emblematici sono i casi di aree espositive tipicamente molto grandi ma che hanno una ridottissima produzione dei rifiuti: basti pensare ai mobilifici o agli spazi espositivi dei concessionari di automobili. Questi soggetti si sono visti tassate tali superfici integralmente anche se per il particolare uso cui sono stabilmente destinate (essendo molto spesso aree dove si effettua esclusivamente lo stoccaggio senza alcun intervento di lavorazione o imballaggio) hanno molto spesso un’insignificante produzione di rifiuti. Attraverso le campagne di pesatura sarebbe possibile definire una tariffa puntuale e non potenziale: pesando esattamente i rifiuti prodotti dalla singola utenza. Esperienze che, dove applicate sul territorio, hanno confermato il profondo scostamento tra i coefficienti potenziali di produzione e la reale produzione degli stessi. L’esperienza dei precedenti regimi di prelievo dimostra, infatti, che la determinazione potenziale di rifiuto attraverso dei coefficienti, si rileva di sovente approssimativa e inadeguata comportando un aggravio enorme peraltro ingiusto e ingiustificato perché ricadente su attività che si discostano notevolmente dai valori di produzioni potenziali.