“Perdere terreno agricolo vuol dire, da un lato, aumentare la nostra dipendenza dall’estero nel capitolo agroalimentare e, dall’altro, mettere a rischio un patrimonio paesaggistico che, tra il turismo rurale e l’indotto legato all’enogastronomia tipica, vale più di 10 miliardi di euro l’anno oltre che a mettere a rischio l’equilibrio naturale come testimonia la tragedia dell’alluvione a Genova”. A sostenerlo è la Cia della Basilicata sottolineando che in un decennio (2000-2010) la superficie agricola investita nella nostra regione è diminuita di 64.611 ettari (da 537.532 ha del 2000 a 472.920 ha del 2010), pari al 12 per cento in meno. L’estensione della superficie agricola -continua la Cia- è legata direttamente alla sicurezza alimentare, ma se da una parte cresce la domanda globale di cibo, dall’altra diminuiscono le terre coltivate. Una contraddizione che va fermata e affrontata, prima di tutto a livello nazionale”. E poi “una nuova attenzione al territorio oggi è necessaria anche per motivi ambientali. La mancata manutenzione del suolo, il degrado, la cementificazione selvaggia e abusiva, l’incuria, l’abbandono delle zone collinari e montane dove è venuto meno il fondamentale presidio dell’agricoltore, contribuiscono a quei fenomeni di dissesto idrogeologico del Paese che sono alla base di tragedie anche recenti. E’ ora di cambiare pagina, quindi, creando un futuro con più agricoltura e una politica territoriale veramente efficace”.
Ancora, la Basilicata ha perso 3.500 ha di vigneti, 5.600 ettari di coltivazioni legnose, 1.900 ha di agrumi, 967 ha di olivo. Persino gli orti familiari, da sempre simbolo di un’economia agricola di sostentamento, registrano un arretramento di 484 ettari pari al 32,2 per cento in meno. La Cia da anni sostiene che serve una nuova legge per la ristrutturazione del territorio.
“L’erosione della superficie agricola utilizzata – si legge nella nota della Cia – è costante ed irreversibile e non può non suscitare allarme e preoccupazione: si deve porre un freno ad un uso dissennato e confuso del suolo agrario soprattutto determinato dalle azioni non programmate delle opere di urbanizzazione, in particolare per centri commerciali e capannoni industriali. Occorre arrestare questo fenomeno con una gestione accorta degli insediamenti, recuperando una enorme cubatura abitativa, industriale e per servizi da tempo inutilizzata. C’è l’esigenza di più agricoltura e di accrescere la sua funzione.