“Melfi è uno stabilimento modello rispetto agli altri, perché si produce la Jeep. Ma nel lungo periodo anche Melfi rischia di avere un calo produttivo con conseguenti impatti sull’occupazione. Servono investimenti per il lancio di produzioni innovative ed ecosostenibili, per i centri di ricerca e sviluppo”.
Lo afferma Michele De Palma, segretario nazionale Fiom-Cgil e responsabile automotive,in occasione dell’incontro “Automotive a Melfi. Futuro in corso” promosso dalla Fiom Cgil e che si è svolto a Melfi (Potenza) per discutere del futuro dello stabilimento lucano della Fiat a venticinque anni dalla sua nascita e per illustrare i risultati dell’indagine condotta dalla Fondazione Claudio Sabbatini sulle condizioni di lavoro all’interno del gruppo Fca.
“In tutti gli stabilimenti Fca si ricorre sempre di più alla cassa integrazione, in particolare a Pomigliano e a Mirafiori, dove gli ammortizzatori sociali sono in scadenza – continua Francesca Re David, segretaria generale Fiom- Cgil – Ora anche in uno stabilimento di punta come quello di Melfi si inizia a parlare di cassa integrazione”. All’incontro erano presenti anche Davide Bubbico della Fondazione Claudio Sabbatini e Università di Salerno, Piero Di Siena già direttore di Finesecolo e giornalista dell’Unità e Gianni Rinaldi della Fondazione Claudio Sabbattini.
A ripercorrere alcune tappe fondamentali della storia dello stabilimento di Melfi è il segretario generale Fiom Cgil Basilicata Gaetano Ricotta. “Nel 1994 iniziavano le prime produzioni a Melfi – racconta Ricotta – Erano oltre 12 mila i lavoratori, compreso l’indotto, con un investimento di 6,6 miliardi di lire, coperto per quasi la metà da investimenti pubblici. Mentre i lavoratori assunti in tutta la regione e anche in quelle limitrofe inizialmente raggiungono lo stabilimento con i loro mezzi e solo dopo con le autolinee, utilizzando strade impreparate a sostenere quei volumi di traffico,Sata mette in campo un modello industriale nuovo: un modello di turnazione che prevede la doppia battuta e il turno notturno anche per le donne oltre a un salario lontano da quello percepito dai colleghi degli altri stabilimenti del gruppo.
Nel 2004 il dibattito sull’insostenibilità delle condizioni di lavoro, alimentato dai delegati della Fiom, si trasforma nella straordinaria mobilitazione dei lavoratori di Melfi – continua – sostenuta anche dalle fabbriche tradizionali lucane, e si arriva agli accordi che parificano i lavoratori di Melfi a quelli del gruppo. Ma il 2004 è anche l’anno di Marchionne, incaricato dalla famiglia al risanamento dei conti e poco del rilancio industriale. Arrivano Pomigliano, Fabbrica Italia, Termini Imerese ma non la produzione di auto pari a 1,4 milioni di veicoli in Italia e neanche i 30 miliardi di investimenti annunciati, né la piena occupazione. A Melfi arrivano i licenziamenti dei delegati della Fiom, la cui vicenda legale si è conclusa qualche settimana fa con l’archiviazione del procedimento penale dopo la vittoria in Cassazione sul reintegro.
A venticinque anni le logiche non sono cambiate e si continua a voler costruire i risultati economici scaricando tutto sul lavoro – riprende Ricotta – Si continuano a eliminare le pause, a costruire contratti peggiori di quelli del ‘93 con al centro la negazione di ogni contrattazione della condizione dei lavoratori, si eliminano i due livelli di contrattazione e ai tavoli negoziali si afferma che l’unico ruolo che devono avere i delegati nelle fabbriche è quello di garantidel contratto. Nel mentre, FCA continua a disattendere i piani industriali che, già dal primo contratto collettivo specifico, prevedevanola piena occupazione e salari tedeschi. Ancora oggi FCA mette in campo un piano di investimenti insufficiente negli importi e nelle intenzioni, incassando i sacrifici chiesti ai lavoratori e dividendi derivanti dallo spin-off di Magneti Marelli, vero centro tecnologico del gruppo. A venticinque anni dall’insediamento di Melfi i lavoratori continuano a raggiungere lo stabilimento sulla stessa strada e alle stesse condizioni: è necessario che anche i servizi migliorino così come i controlli ispettivi, a tutela dei lavoratori. Piccoli ma determinati interventi che possono essere messi in campo da subito.
La proposta di fusione – poi ritirata – di Fca con Renault, mette in evidenza tutta la fragilità delle politiche industriali in Italia, dove la pianificazione industriale è strutturalmente assente tanto che dal 2008 in poi si è perso oltre il 20% della capacità produttiva complessiva. In questi giorni siamo impegnati con le assemblee nelle fabbriche affinché il prossimo 14 giugno, quando ci sarà lo sciopero unitario di tutti i metalmeccanici, si scenda in piazza a dire che non si può continuare a ricorrere al ricatto occupazionale per alimentare il modello di massima azione della prestazione, passando spesso attraverso lunghi periodi di ammortizzatori sociali durante i quali il ricatto verso il lavoratore si fa più forte. In Basilicata emerge, infine, la necessità di politiche industriali che mettano insieme i due poli più importanti della regione, quello dell’automotive e quello del petrolio, entrambi attraversati da profondi cambiamenti legati alla transizione energetica nell’ottica della decarbonizzazione”.
Aggiunge il segretario generale Cgil Basilicata Angelo Summa: “Il fatto che una fabbrica così importante come quella di Melfi non abbia inciso sull’assetto industriale ed economico della nostra regione, è segno di un grande mutamento che sta avvenendo nel nostro Paese, dove il lavoro non ha più rappresentanza. Se non ci sarà politica industriale nel settore dell’auto, il rischio è che si estinguerà gradualmente. È necessario un nuovo compromesso capitale e lavoro, in cui lo scambio sia sulla riduzione dell’orario di lavoro, perché innovazione non può solo significare più profitto per l’azienda a più benessere per i lavoratori. È su questo aspetto che si basa la sfida del futuro, a Melfi come altrove. In Basilicata, inoltre, bisogna decidere dove posizionare le risorse derivanti dalle royalties del petrolio. A breve dovremmo rinnovare gli accordi Eni. Non possiamo pensare che la Basilicata torni al Medioevo, bisogna tracciare nella transizione energetica la nuova concessione Eni, puntando su investimenti e sviluppo che trovi anche nello stabilimento di Melfi, con la produzione dell’elettrico e dell’ibrido, il suo punto strategico”.