La diffusione del Covid-19 sta provocando gravi conseguenze per l’agricoltura. Questa situazione sta influenzando rapidamente e negativamentei principali settori agricoli e forestali con effetti a breve, medio e lungo termine. Il settore florovivaistico è stato colpito duramente: al momento, le vendite si stimano inferiori del 60-70% rispetto allo stesso periodo del 2019. Nel settore ortofrutticolo, dopo un primo picco della domanda, si sta assistendo a un indebolimento del mercato con una diminuzione drastica dei prezzi. Anche nel settore lattiero-caseario ci sono già segnali che indicano potenziali turbative. Il settore del vino e dell’olio d’oliva hanno ricevuto una contrazione della domanda interna. Per il settore della carne, la chiusura del canale Horeca (Hotel. ristoranti ecc..) ha comportato una diminuzione drastica dei consumi. Con l’estensione delle restrizioni anche durante il periodo Pasquale sono proprio gli allevamenti, in particolare ovini, a rischiare il collasso. La tradizione cristiana, al pari di quella ebraica e islamica, lega l’uso di questa carne proprio al periodo Pasquale, più in generale, cibarsi del prezioso agnello durante la Pasqua era una delle poche occasioni per rimpinguarsi di carne di prima qualità. Un lusso per pochi, durante il resto dell’anno. Una tradizione forte e viva in Italia come in tanti altri paesi del mondo, che viene minata dal calo di consumi causato dal Covid-19 e da una concorrenza estera, spesso extracomunitaria, improntata su una forte politica di prezzi a ribasso a danno della pastorizia italiana sinonimo di alta qualità. AGIA-CIA Basilicata conta tra le sue fila innumerevoli pastori, che svolgono indirettamente anche l’importante ruolo di sentinelle ambientali e presidio dei territori, come Gabriele Avigliano di Vaglio (PZ) secondo cui “La crisi del mercato degli agnelli in questo periodo è dovuta a diversi motivi, il più importante sicuramente è la mancanza di richiesta da parte dei macellai in quanto non ricevono prenotazioni di carne d’agnello per il periodo Pasquale, quindi molto restii all’acquisto di capi dagli allevatori. Il secondo motivo – continua Avigliano – è l’arrivo di animali già macellati dall’estero a prezzi molto bassi che ha dure ripercussioni sul prezzo del prodotto nazionale. Ulteriore problema riguarda il mondo allevatoriale in quanto poco unito e facilmente sfruttato dai commercianti che forniscono la grande distribuzione, soprattutto in questi momenti di incertezza. Bisogna aggregare il più possibile gli allevatori per fare massa critica e creare un legame diretto con la grande distribuzione che in questo momento storico è quella che ha maggiore utenza di consumatori”. Michele Caravelli Pastore ventottenne di Tricarico (MT), con una laurea in Tecnologie delle Produzioni Animali presso la facoltà di medicina veterinaria Federico II di Napoli, mette in evidenza tutte le difficoltà del settore “attualmente, non abbiamo domanda di agnelli a causa del Covid 19, motivo per cui il prezzo non supera i 2,60€/kg di peso vivo. Tuttavia bisogna sottolineare che l’anno scorso il prezzo era leggermente più alto ma in ogni caso una miseria. Come fa un allevatore a rientrare nel bilancio annuale se deve affrontare spese sempre più alte con profitti sempre più bassi? Personalmente credo che i problemi siano svariati: la prima cosa da fare è spingere la grande distribuzione a consumare il prodotto italiano. In Italia ci sono 7 milioni di pecore e un consumo procapite di 1,5 kg di carne di agnello (dati istat) per cui dovremmo essere autosufficienti. Altro problema sono gli allevatori stessi che dovrebbero “mettersi insieme”, cosa non facile ma comunque importante perché se l’unione fa la forza, solo stando uniti si riuscirebbero ad allontanare tutti gli pseudo commercianti affaristi e cattivi pagatori. Importante anche un sana politica informativa e formativa rivolta al consumatore, in tempo di crisi economica si sente parlare di agnello come “lusso” che non tutti si possono permettere, però non si rinuncia all’ultimo modello di cellulare. Altro paradosso la politica dei prezzi, non riesco a spiegarmi -continua Caravelli – per quale motivo, o distorsione economica, l’agnello in macelleria ha un prezzo medio che si aggira intorno ai 14,00 euro al kg e al produttore viene pagato a 3,00 euro. Una filiera che danneggia soprattutto produttori iniziali e i consumatori finali. Una soluzione a può essere anche la filiera corta, ma le istituzioni devono semplificare la burocrazia (agevolando macellazioni aziendali, vendita in azienda ecc), le macellerie del territorio devono rifornirsi in aziende del territorio, non escluderei un accordo con l’associazione Macellai e la CIA per incentivare il consumatore finale acquistare prodotti locali in modo da tutelare l’ economia locale e l’ambiente, gli allevamenti con annesse attività di pascolo e agricoltura salvaguardano il territorio. Gli allevatori lucani sono in prima linea, inoltre per la realizzazione di un prodotto di qualità, salutare e genuino”. Anche per Leonardo Lorusso AGIA-CIA di Avigliano (PZ), con azienda nella frazione di Castel Lagopesole, non ci sono dubbi “unire gli allevatori e creare legami diretti con la GDO, contribuendo a valorizzare il Made in Italy con politiche in grado di riconoscere il giusto valore a produzioni di qualità certificata, magari attraverso l’istituzione di consorzi Regionali o Provinciali di valorizzazione delle produzioni. Nonostante le difficoltà -esorta Lorusso- dobbiamo andare avanti e guardare al futuro che appartiene a noi allevatori”.In conclusione Michela Giura riferimento AGIA-CIA ad Albano di Lucania (PZ) non ha dubbi “L’emergenza Coronavirus e il blocco delle attività economiche sta avendo ripercussioni negative in tutti i comparti del settore agricolo. Questo è un periodo cruciale per le nostre Aziende ovi-caprine che devono immettere il proprio prodotto su un mercato in cui la domanda è ridotta e l’offerta è ampliata dalle importazioni estere; Purtroppo in queste circostanze non mancano gli “speculatori” che propongono offerte ridicole agli allevatori, i quali già in una situazione di sofferenza, si vedono costretti ad accettare. Situazioni analoghe si verificano anche nella filiera lattiero casearia. Si parla spesso di sensibilizzare il consumatore Italiano ma bisogna prima sensibilizzare i nostri rappresentanti politici, che consapevoli della passione e degli enormi sacrifici fatti dagli allevatori italiani dovrebbero favorire la vendita del loro prodotto ad un prezzo adeguato limitando le esportazioni dall’estero”.
Mar 31