Uilpa Polizia penitenziaria ha inviato una lettera aperta al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede per segnalare le criticità delle carceri italiane. Di seguito la nota integrale.
Come peraltro a Lei ben noto, i problemi che investono e attanagliano la giustizia, il sistema d’esecuzione penale e, per quanto più interessa da vicino questa Organizzazione Sindacale, il mondo carcerario, il Corpo di polizia e la dirigenza penitenziaria, sono numerosissimi, molto risalenti nel tempo e quasi mai affrontati con pragmatismo ed efficacia nell’ambito di un progetto
compiuto volto a migliorarne significativamente la funzione che la carta costituzionale, dunque il Paese, assegna ad essi.
Le inefficienze strutturali, le inerzie ancestrali e le emergenze incidentali sono state troppo spesso analizzate con miopia (poco importa se “congenita” o, com’è più probabile, “acquisita”) e ad esse si è tradizionalmente approcciato guardando a un orizzonte per lo più circoscritto sulle ultime, dunque finalizzato soprattutto, se non esclusivamente, a contenere le emergenze piuttosto che ad invertire i modelli che le avevano generate e avviare un processo virtuoso in grado – in un uno – di conferire efficacia al sistema repressivo, sicurezza ai cittadini, dignità e senso sociale alla detenzione, canoni di civiltà e, potrebbe persino auspicarsi, di “normalità” al lavoro della Polizia e,
più in generale, degli operatori penitenziari.
Così, specie nell’ambito delle due amministrazioni di diretto riferimento di chi scrive (DAP e DGMC), soprattutto l’autoreferenzialità dell’apparato latamente burocratizzato e stratificato nelle ramificazioni di seconda, terza e quarta linea sino al punto di divenire immune anche all’avvicendarsi della dirigenza di vertice e, persino, di vanificare i propositi (in verità poche volte apprezzati) del vertice politico, restituiscono un sistema che pare fare dell’inefficienza e dell’improduttività la principale linfa vitale che ne ha sinora consentito la resistenza a qualsiasi tentativo di azione riformatrice.
Questa Segreteria, peraltro, avrebbe preferito attendere ancora l’avvio e l’assestarsi della struttura del dicastero della giustizia, dopo il Suo recente insediamento, prima di rivolgersi alla Sua autorevole attenzione. Tuttavia, gli effetti, spesso deleteri, di quanto sopra cennato continuano a manifestarsi senza sosta e, anzi, probabilmente anche per l’approssimarsi dell’estate (com’è storicamente accaduto) paiono acuirsi e stanno assumendo in queste ore proporzioni eccezionali,
poche volte registrate nel passato più prossimo, e che se non affrontate con immediatezza, lungimiranza ed incisività rischiano di sfuggire di mano e di mettere a rischio, non solo l’incolumità degli operatori e degli stessi soggetti detenuti, ma finanche la sicurezza e l’ordine pubblici.
L’emergenza penitenziaria, cristallizzata anche (e non solo) nella nota “sentenza Torreggiani”, che è valsa all’Italia la messa in mora da parte della Corte EDU per trattamenti inumani e degradanti nei confronti delle persone sottoposte a carcerazione, è stata affrontata
spesso con palliativi, quasi sempre con formule inefficaci e, soprattutto, in maniera avulsa da un disegno di reingegnerizzazione complessiva del sistema di esecuzione penale in grado di innescare
quel circolo virtuoso cui si è fatto già cenno. Al contrario, nel tentare di fronteggiare l’urgenza si sono trascurate e, anzi, non di rado alimentate e originate altre patologie destinate ad aggredire ulteriormente l’eterno ammalato, oggi allo stato terminale.
Solo per esemplificare, anche al rischio di apparire banali e riduttivi, il sovraffollamento penitenziario è stato affrontato sostanzialmente con due strumenti, entrambi però non supportati da politiche consequenziali e di sostegno, magari con l’alibi – falso e precostituito – delle ristrettezze economiche, smentito miseramente dagli sprechi e da gestioni talvolta “allegre” e “spregiudicate” di cui pure in queste ore raccontano le cronache. Da un lato la costruzione di nuove strutture penitenziarie, sulla cui razionalità vi sarebbe
peraltro molto da obiettare specie dove si sarebbero potute promuovere opere di recupero e/o riconversione, cui ha fatto da contraltare il taglio, di fatto e di diritto, degli organici della Polizia e degli operatori penitenziari, nonché della struttura del DAP; dall’altro la forte contrazione della sorveglianza, declamata sotto la locuzione “sorveglianza dinamica”, tradottasi quasi sempre in un’apertura generalizzata delle “celle” (per il pudore che ancora e nonostante tutto si conserva ci si astiene dal definire gli spazi angusti, degradati e degradanti dei quali si parla “camere di pernottamento”) non surrogata da modelli organizzativi e operativi in grado di garantire efficaci ed
efficienti controllo, intervento e repressione (così da conseguire anche effetto deterrente a propositi delinquenziali o comunque finalizzati a forzare le regole), né supportata da adeguati strumenti tecnologici ed elettronici utili sia a garantire la sorveglianza remota e ad automatizzare taluni processi sia a prevenire l’introduzione e inibire l’utilizzo di oggetti di offesa o comunque nonconsen titi (armi, telefoni cellulari, etc.). A ciò si unisca l’aumento esponenziale dell’età media degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e l’assenza pressoché assoluta di percorsi di aggiornamento professionale indirizzati al potenziamento e all’apprendimento di nuove tecniche di
intervento operativo e il quadro che se ne ricava non pare necessitare di descrizioni e commenti ulteriori.
In queste ore, come si diceva poc’anzi, la situazione complessiva all’interno dei penitenziari e nei servizi di traduzione e piantonamento dei detenuti sta ulteriormente e pericolosamente involvendo. Gli episodi di Genova, Trapani e quello ancora più grave di Ariano Irpino sono solo gli ultimissimi di un’interminabile sequela di attentati all’ordine costituito e di violenza nei confronti di servitori dello Stato, che indossano l’uniforme del Corpo di polizia penitenziaria, che non solo non viene – com’è del tutto evidente – prevenuta e impedita, ma alla quale non conseguono neppure apprezzabili contromisure da parte dello Stato. Del resto i dati degli “eventi critici” diffusi con un recente comunicato stampa, che ci si permette di allegare in copia alla presente, descrivono in maniera “aritmetica” la gravità del
periodo storico.
Prima ancora di parlaLe di tematiche pur molto importanti e la cui trattazione per chi scrive è irrinunciabile, quali relazioni sindacali, correttivi al c.d. “riordino delle carriere”, riforma del Corpo di polizia penitenziaria con la previsione della dirigenza generale e l’accesso alla dirigenza penitenziaria, rinnovo della parte normativa del CCNL 2016-2018 e avvio del negoziato per la novazione economica e normativa per il triennio successivo, revisione della riorganizzazione del Ministero della Giustizia (DPCM n. 84/2015), superamento della c.d. “Legge Madia”, con particolare
riferimento al taglio degli organici per le Forze di Polizia, e molto altro ancora, si chiede alla S.V. di voler cortesemente fissare una riunione con le Organizzazioni Sindacali rappresentative del Corpo al fine di pervenire a un confronto che, si auspica, possa essere d’ausilio all’adozione di urgentissime misure in grado di porre un freno tangibile alle aggressioni nei confronti degli
operatori e “mettere in sicurezza” il sistema penitenziario.
L’occasione potrebbe essere inoltre propizia per calendarizzare una serie di incontrisuccessivi, se del caso pure in sede tecnica, al fine di affrontare – anche nell’ambito del “contratto di Governo” – tutti gli argomenti sopra enumerati.
Nell’attesa di un cortese cenno di riscontro, molti cordiali saluti.