Di seguito il report di Michele Morelli sul seminario del 18 settembre promosso dall’associazione Energheia e organizzato nella sede dell’Archivio di Stato. Non solo criticità, ma anche idee progetto è quanto è emerso durante l’incontro con l’architetto Mauro Saito, presidente della Sezione Docomomo Italia Basilicata-Puglia e Michele Morelli, del direttivo regionale di Legambiente.
Di seguito il testo integrale e la fotogallery
L’evento promosso dall’associazione Energheia ha dato l’opportunità al direttore dell’Archivio di Stato, Dott. Pietro Sannelli nel suo saluto di benvenuto, di ufficializzare la notizia (già circolata da tempo) di acquisto da parte del Ministero dell’ex cinema Quinto.
L’Archivio di Stato, dunque, rimarrà lì dov’è. A dispetto di quanto aveva disposto l’ex sindaco De Ruggieri (il trasferimento in via Montescaglioso nell’ex convitto nazionale) e l’attuale sindaco Bernardi che, con l’approvazione del regolamento urbanistico nel 2021, decretava l’abbattimento dell’ex cinema e il cambio di destinazione d’uso a favore dell’ennesima palazzina residenziale.
Con l’acquisto dell’ex cinema Quinto si chiude una vicenda che rischiava per davvero la “progressiva marginalizzazione”, se non addirittura la chiusura di uno delle più importanti istituzioni culturali della città.
Contro questa ipotesi, ricordiamo, si erano espressi i lavoratori dell’Archivio, per nulla rassegnati, e numerose associazioni culturali. A questo punto ci si aspetta da parte del Comune il cambio di destinazione d’uso (da residenza a culturale) e la tutela dell’edificio per il suo valore testimoniale.
Buona parte della riflessione sullo stato di crisi della città contemporanea è stata accompagnata da una parola chiave: “Risarcimento”. E’ tempo, si è detto, di saldare il conto con la città e i suoi cittadini, per i danni arrecati al patrimonio urbanistico e ambientale, per aver messo a serio rischio la “dote” ricevuta.
E’ stata ribadita la necessità di preservare i beni pubblici inestimabili che concorrono storicamente alla definizione del paesaggio urbano e dell’agro materano.
Il territorio del Parco della Murgia materana, si è detto, ha bisogno di maggior attenzione e tutela proattiva, di interventi di rigenerazione ambientale e naturalistica. Va respinto ogni tentativo di riperimetrazione delle aree ZSC (Zone speciali di conservazione) e ZPS (Zona di protezione speciale) o addirittura di “declassificazione di parte del territorio del Parco regionale della Murgia materana” avanzato appena un anno fa dall’attuale Amministrazione.
La città è sottoposta a continue trasformazioni anche lì dove non è necessario.
L’agro e il periurbano è sempre più sotto attacco con insediamenti residenziali che nulla hanno a che fare con lo sviluppo dell’azienda agricola. Trasferimenti di volumetrie, abbattimenti e ricostruzioni diffuse, perfino in ambiti urbani saturi o di recenti formazione, che sta determinando un incremento del peso urbanistico nelle zone centrali della città. Tutto avviene senza aggiornare i piani d’ambito che hanno generato quei tessuti; senza verificare i limiti inderogabili urbanistici e di densità edilizia (D.M. 2 aprile 1968 n. 1444).
Durante la serata si è ribadito che gli incentivi volumetrici, previsti dalle legge regionale e dal regolamento urbanistico, vanno finalizzati alla rigenerazione del patrimonio edilizio fatiscente. Gli stessi non possono essere riconosciuti tessuti saturi o edifici di recente attuazione o addirittura in corso d’opera.
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La città è oramai in mano a “predoni” senza scrupoli. Si assiste impotenti alla trasformazione del comparto 2 del centro direzionale (ex fabbrica Manicone Fragasso). E’ in corso una delocalizzazione di volumetrie rivenienti da altre zone urbanisticamente per nulla “compatibili” (circa 9000 mc). Eppure eravamo tutti convinti che nel centro direzionale fosse esclusa ogni possibilità di nuovo carico urbanistico in quanto tessuto consolidato (T3), così come recita la legge regionale e il regolamento urbanistico.
Ma siamo proprio sicuri di aver fatto tutto il possibile per scongiurare quanto sta avvenendo. Eppure
recentemente il redattore del Regolamento Urbanistico (l’arch. Francesco Nigro) in un incontro pubblico ha ribadito l’inammissibilità di sovraccaricare i tessuti consolidati con altri volumi e/o premialità offerte dalla legge regionale (ma anche dal regolamento urbanistico).
Ad oggi, il Comune non ha ancora attivato il riesame degli atti autorizzativi. Per fugare ogni
dubbio (errore, abuso, omissione o altro) sarebbe doveroso riesaminare gli atti autorizzativi (permesso a costruire e Scia).
La costruzione che si sta realizzando altera il piano attuativo che ha generato il tessuto, la sua forma urbana originariamente definita, vi sono modifiche sostanziali alle altezze, cambio di destinazione d’uso originarie e degli standard.
Altra storia la vicenda dell’ex Palace Hotel. Il regolamento urbanistico permette la demolizione e la ricostruzione con aumento della superficie utile pari al 20 per cento con la possibilità di un piano in più rispetto all’altezza prevista dal piano attuativo (previsione piano attuativo 8, massimo 9 piani dunque). Vedremo, anche se si ha la sensazione che le cose stanno diversamente. Sembra irragionevole che questa tipologia di intervento sia autorizzato con una semplice Scia. Anche in questo caso, siamo in presenza di un cambio della forma urbana, sagoma, numero di piani, distanze tra pareti finestrate. In
tutto questo assurdo modo di governare la città, nessuno nel Palazzo si è posto il problema
degli effetti devastanti del combinato disposto dei due interventi sull’intero ambito del centro direzionale ex Manicone & Fragasso.
Abbiamo bisogno di uomini e donne competenti, di un ufficio di piano all’altezza della sfida, di studio e di piani attuativi aggiornati alla nuova realtà. Vi è inoltre la necessità di sviluppare idee e progetti che hanno una loro specificità (disegnare i confini della città, i borghi, il periurbano, le vie di accesso alla città). E’ stata ribadita la necessità di ricucire brani urbani disconnessi (San Giacomo/Mulino Dell’acqua – Villa Longo/Serra Rifusa/via Gravina… ); di valorizzare le architetture del moderno e dotarsi di piani di recupero per quelle realtà urbane fatiscenti.
Aggiornare le infrastrutture di prossimità e a scala urbana, riscrivere in sostanza nuove gerarchie.
Dare finalmente attuazione al sistema del verde, ai percorsi pedonali e ciclabili, che stentano ad essere realizzati.
Il PUMS, si è ribadito, va attuato e sostenuto, per una mobilità più sicura a salvaguardia della salute e dello spazio pubblico.
La trasformazione del vecchio tracciato urbano delle FAL in metrotranvia è una opportunità da non perdere, su cui bisogna lavorare. Oltre a potenziare e integrare l’offerta di trasporto pubblico locale, diventa l’occasione per rigenerare ambiti urbani disconnessi (lottizzazione Quadrifoglio). Con la nuova stazione centrale a Serra Rifusa (magari trasferendo la pensilina Boeri) si avrebbe la possibilità di ridefinire il ruolo e dare funzionalità alla piattaforma di interscambio modale.
Va migliorata la qualità progettuale dell’ente locale, per questo è necessario riacquistare fiducia nei concorsi d’idee ed esecutivi a livello regionale, nazionale e internazionale.
Naturalmente la qualificazione professionale e l’aggiornamento culturale continuo deve essere richiesta anche ai professionisti che operano alla costruzione quotidiana della città.
Non poteva mancare, in conclusione, una breve riflessione sul destino dell’ex area della Barilla. Alla domanda per quale ragione una impresa acquista un’area dismessa sapendo che l’area è sottoposta a vincoli di trasformazione ben precisi, la risposta è abbastanza scontata, perché spera di cambiare la destinazione d’uso dell’area.
Ma la domanda che tutti i cittadini si pongono è per quale ragione l’area non è stata acquistata dall’Ente locale. La storia urbanistica della nostra città è piena di progetti in variante agli strumenti urbanistici dalle grandi aspettative (da Renzo Piano a Boeri, dal Social Housing al Centro per le Arti Bianche… ). Il lascito di questi progetti è abbastanza noto: spreco di danaro pubblico e grandi guadagni per i soliti “predoni”. La parola chiave non può che essere “risarcimento”, per una fabbrica che ha goduto di agevolazioni urbanistiche, che è durata poco e che ha prodotto dolore nel tessuto
sociale e cesura ambientale.
Il pubblico interesse è restituire al quartiere e alla città il torto subito e il paesaggio negato dall’ex fabbrica.
Le idee possono essere tante. Durante la serata si è fatto cenno ad un esempio di intervento pubblico dal carattere “risarcitorio” contenuto in una tesi di laurea sperimentale promossa dalla nostra facoltà di architettura. Il futuro di quest’area, si è detto, è nelle nostre mani. Non è nelle mani dei privati. Il “risarcimento” è possibile realizzarlo, la volontà politica bipartisan a volte fa miracoli.