Angelo Summa, Segretario generale Cgil Basilicata, commenta gli ultimi dati Istat sull’occupazione relativi al mese di gennaio 2018 in Basilicata e nel Mezzogiorno. Di seguito la nota integrale.
Al sud si combinano e si concentrano le diseguaglianze. Una ripresa occupazionale che ha tagliato fuori i giovani e il mezzogiorno, con il moltiplicarsi di rapporti di lavoro precario e part time involontario che ha determinato un abbassamento generalizzato della qualità del lavoro.
Una situazione preoccupante, non solo sul piano sociale, ma anche economico in cui emerge con nettezza che l’occupazione registrata in Basilicata e nel mezzogiorno è caratterizzata da una ripresa attinente solo al settore del turismo e dei servizi con la crescita del “lavoro povero”. Un dato che dimostra la debolezza e la fragilità del nostro sistema industriale e manifatturiero.
Serve un piano industriale e occupazionale straordinario per la Basilicata e per il sud in cui concentrare le risorse derivanti dai fondi strutturali in un piano di investimenti, ponendo fine all’utilizzo frammentario che sta caratterizzando questa fase di programmazione.
Serve la capacità di aprirsi ad un confronto vero per riprogettare il futuro di questa nostra regione guardando ad una nuova e diversa modalità di programmazione che sappia realmente innescare una fase di crescita e sviluppo con un rilancio di investimenti pubblici accompagnati da nuovi strumenti programmatori unitamente ad una nuova strategia di sistema che guardi ad investimenti in conoscenza e trasferimento tecnologico al sud, alle zes, alla chimica verde , all’agricoltura di specializzazione. Insomma, un modello industriale che sia al servizio dell’intero Paese.
Ma per fare questo occorre che la classe dirigente meridionale assuma la questione del mezzogiorno quale priorità, avendo chiaro il modello di sviluppo di cui il sud necessita e facendosene interprete attraverso una rivendicazione che riapra una vertenza sud, a partire dal riequilibrio della spesa pubblica destinata al mezzogiorno.
I dati di finanza pubblica parlano chiaro: il confronto tra i livelli di spesa della pubblica amministrazione mostra un divario del Mezzogiorno non solo elevato ma cresciuto negli anni della crisi dell’8,8%. Anche escludendo la spesa previdenziale, la spesa complessiva della pubblica amministrazione è significativamente più bassa nel Mezzogiorno: 6.573 euro per abitante nel 2015 contro i 7.328 euro del Centro-Nord. Il Sud riceve il 29% della spesa pubblica, ma rappresenta il 34% della popolazione; non ha dunque una spesa adeguata per offrire servire efficienti.
Bisogna rendere, perciò, effettivo uno strumento di impatto essenziale, che a oggi compare nella legge di stabilità soltanto in termini di principio, la cosiddetta “clausola del 34%”, cioè la previsione di un livello di spesa ordinaria in conto capitale delle amministrazioni centrali da destinare al sud proporzionale alla popolazione residente (il 34% del totale nazionale, appunto).
Questo dovrebbe tradursi in opere pubbliche, infrastrutturazione del territorio, riduzione del gap col resto del Paese, normalizzazione della spesa ordinaria e quindi recupero di quella che da sempre sarebbe dovuta essere la funzione dei fondi europei, aggiuntiva e non sostitutiva.