Autonomie regionali, pensioni, petrolio, FCA, sanità, welfare. Questi i temi del direttivo regionale Cgil discussi a Potenza nella sede di via del Gallitello alla presenza del segretario nazionale Vincenzo Colla.
“Il referendum del 22 ottobre – ha detto il segretario generale Cgil Basilicata Angelo Summa – è un dato che deve riguardare la discussione politica, il mondo sindacale e la classe dirigente del sud. È un referendum strumentale, inutile e populista. Per affermare l’applicazione del comma 3 dell’articolo 116 non c’era bisogno di ricorrere allo strumento referendario. Bastava fare come l’Emilia Romagna che ha avviato un confronto con il governo nazionale sul federalismo differenziato: la nostra Costituzione, a seguito della riforma del Titolo V del 2001, già consente di poter negoziare con il governo forme di federalismo su specifiche materie, che sono quelle oggetto di legislazione concorrente.L’unico effetto del referendum è stato quello di alimentare nel nostro Paese ulteriori elementi di divisione, dando una rappresentazione falsata della realtà, arrivando al paradosso che quelli che stanno meglio protestano e rivendicano maggiori risorse mentre chi sta peggio ha smesso di rivendicare.
Il residuo fiscale è un veleno mediatico che fa arrabbiare i cittadini del nord, convinti di essere spogliati dei propri soldi, in realtà versano più imposte perché hanno maggiore capacità fiscale. E i cittadini del sud comunque ricevono meno.Il centro nord paga il 77% delle tasse italiane e riceve il 71% del totale della spesa pubblica, stimato attorno agli 884 miliardi euro nel 2015. Il Sud riceve il 29% della spesa pubblica ma rappresenta il 34% della popolazione e quindi i servizi ricevuti sono sensibilmente inferiori rispetto agli standards nazionali . Ciò comporta che la spesa per ogni cittadino del nord è di 15.801 euro e per il cittadino del sud è di 12.222 euro, in media 300 euro al mese di spesa pubblica in meno. È normale che la parte del Paese più ricca possa generare un gettito fiscale maggiore ma è altrettanto anomalo restituire una rappresentazione per cui le regioni del nord sono virtuose e quelle del sud non lo sono, estremizzando i concetti del federalismo e di come il Mezzogiorno gestisce alcune deleghe importanti, prima fra tutte la sanità, considerato che molte regioni del sud hanno la sanità commissariata.
Il vero problema – continua Summa – è che il sud non ha la stessa spesa pubblica per offrire servizi efficienti al pari del nord. Se la Basilicata dovesse rivendicare maggiore autonomia, nonostante il petrolio, non avrebbe mai le risorse sufficienti a colmare le entrate derivanti dallo Stato nazionale in quote di trasferimento, perché abbiamo oltre 4mila euro in più di spesa pubblica ,rispetto al nostro gettito fiscale, quindi avremmo bisogno di 3 miliardi in più per avere un equilibrio economico tra gettito fiscale e la spesa. Ma il quesito referendario, al di là della discussione sul cosiddetto residuo fiscale che connoterà la prossima campagna elettorale, apre ad una pericoloso federalismo su materie che costituiscono i pilastri connotativi dell’unità nazionale: istruzione e sanità, fino a teorizzare contratti regionali.
Se di federalismo si vuole parlare – chiosa il segretario – bisogna partire dallo squilibrio nella spesa pubblica che c’è nel nostro Paese. E non è più un discorso di questione meridionale, peraltro sparita dal dibattito politico. Siamo in una fase evoluta dove la questione meridionale è stata sostituita dai regionalismi per cui il vero tema da affrontare sarà come discutono le regioni e come si crea rapporto di coordinamento tra esse, come si colloca il protagonismo regionale in un contesto di unità. Ecco perché è necessario rilanciare un piano unitario del nostro Paese. Le nazioni si fondano sulla solidarietà dei loro popoli, se ogni regione si tiene il suo si arriva alla fine dell’unità nazionale.
Aggiunge poi sulle pensioni, argomento di discussione con le altre sigle sindacali anche in Basilicata e oggetto di una campagna che ha visto l’organizzazione di assemblee e giornate di volantinaggio e che proseguirà nei prossimi giorni: “L’innalzamento dell’età rispetto alle aspettative di vita è uno dei punti principali. Noi abbiamo chiesto una differenziazione rispetto al lavoro che si svolge ma il governo ci ha chiuso le porte: la flessibilità è il parametro determinante per la modifica della legge Fornero”.
Un passaggio, infine, sulla questione petrolio: “La classe dirigente – afferma Summa – è ripiegata sull’opportunità e sul consenso pensando che le questioni ambientali si risolvano con atti amministrativi dovuti e conferenze stampa. La Regione Basilicata avrebbe addirittura chiesto all’Eni risorse aggiuntive sotto forma di contributo volontario per far fronte alle criticità del bilancio, credendo di affrontare la complessità della questione petrolio con queste modalità. Sono settimane che chiediamo un incontro nazionale. Noi vogliamo che l’attività industriale continui ma in sicurezza e con una visione politica sullo sviluppo del territorio, che preveda un investimento in tecnologia da parte dell’Eni, perché l’innovazione tecnologica può intervenire per ridurre gli effetti ambientali e porre le basi in Basilicata per la transazione energetica da qui ai prossimi 20 anni, vincolando le risorse allo sviluppo e non alla spesa ordinaria”.
Altro asse fondamentale, la Fca di Melfi: “Senza piano industriale – dichiara – non si può continuare a discutere di settore auto. C’è bisogno di serietà e di assunzione di responsabilità da parte del governo nazionale che ci dica esattamente nel contesto nazionale qual è il ruolo di Melfi, grande stabilimento che deve rafforzare la sua capacità produttiva, sperimentando una innovazione e introducendo i propulsori a basso impatto ambientale. Significa investire in ricerca.
Ci sono 296 milioni di euro del Fondo sociale europeo. Gli stessi possono essere impiegati per il welfare. Abbiamo lanciato l’allarme collasso delle case di riposo in Basilicata: per coniugare servizi di qualità e rispetto dei contratti di lavoro è necessario che il governo regionale introduca forme di integrazione delle rette ”.
Conclude il segretario nazionale Colla: “Lo scenario entro il quale va letto il referendum del 22 ottobre è quello di un’Europa che pur essendo stato il più grande investimento democratico, oggi fa acqua e arriva sui territori . Pensiamo alla Brexit, allo scontro in Catalogna, in Scozia. C’è un vuoto della politica che non ha saputo progettare il ruolo federale dell’Europa. Un’ Europa spinta verso il secessionismo che non vede il sud come grande patrimonio per la sua tenuta . E su questo ci sarebbe bisogno di un’alleanza con le istituzioni e la classe dirigente che invece si chiude nel suo piccolo.
Non si può immaginare – continua – una Basilicata che chieda un po’ più di soldi all’Eni, perdendo capacità di capire dove debba andare la regione. La questione royalties, se non la spostiamo rispetto alle grandi filiere produttive (automotive, agroindustria, turismo) che devono esserci ora per il dopo, metterà la regione in difficoltà, priva di uno sviluppo di prospettiva. Il problema è che la politica progetta solo campagne elettorali, mentre dovrebbe progettare forme e modalità per redistribuire la ricchezza e mantenere la coesione sociale. E siccome non c’è mediazione sociale assistiamo a una polarizzazione, specialmente nel lavoro, che vale per l’impresa e per i lavoratori.
In questo contesto, come mettiamo lavoratori e imprese, ad esempio, dentro la filiera dell’innovazione che arriverà polarizzando ancora di più la nostra gente, schiacciando il ceto medio e il terziario povero, allargando ancora di più una bolla nella quale svaluto la moneta e svaluto anche il lavoro? Questo è lo scenario entro il quale siamo arrivati ai referendum della Lombardia e del Veneto. Ora bisogna decidere sulle materie di legislazione concorrente, su cosa decidiamo di dare autonomia con il decentramento e cosa decidiamo sia priorità è prerogativa dello Stato. È necessario che si cominci a discutere anche di questo perché riguarda tutti.
Così come riguarda tutti la questione delle pensioni – conclude Colla – Dire di non incrementare l’aspettativa di vita significa diversificare e salvaguardare i lavoratori in difficoltà. Le uscite flessibili andavano fatte per questi lavoratori e per le donne. Dire pensione di garanzia in questo Paese significa creare un patto generazionale, dando risposta a tutti quei lavori che hanno discontinuità oggi e soprattutto provando a dare una risposta alle aspettative delle giovani generazioni”.
Ott 25