Riparte a settembre il Piano irriguo nazionale con un ulteriore stanziamento di 500 milioni di euro, in aggiunta ai 300 milioni già in dotazione. E’ una buona notizia sopratutto per il mondo agricolo meridionale che ha bisogno di rendere più moderno e funzionale il sistema irriguo. Lo riferisce Donato Distefano, vice presidente nazionale Anbi (Associazione nazionale delle bonifiche e irrigazioni) oltre che direttore regionale della Cia, sottolineando che è questo l’impegno assunto dal Ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina nel corso dell’Assemblea 2016 dell’Associazione che rappresenta 136 enti.
Al di là degli elogi sulla grande qualità delle produzioni agroalimentari italiane, oltre le battaglie per la difesa delle nostre buone tradizioni agricole, occorre pur sempre ricordare – afferma Distefano – che l’agricoltura ha bisogno di acqua e che questa va controllata, gestita e usata per bene. Non solo perché meglio si usa la risorsa idrica e meglio stanno i campi, ma anche perché del controllo dell’acqua ne beneficia l’intero territorio, città comprese. Per realizzare il Piano, tuttavia, ci vogliono tanti soldi. E per questo negli ultimi tempi tutto si era fermato.
Il Piano dovrà fare ancora molta strada. La stessa Anbi ricorda che questo, deliberato nel 2004, prevede investimenti per settemila milioni di euro; cifra enorme della quale fino ad oggi si sono resi disponibili circa 1.600 milioni. Mentre allo stato attuale esistono notevoli necessità per manutenzioni straordinarie ed adeguamenti degli impianti irrigui esistenti, nonché per nuove opere ora più che mai indispensabili anche in relazione alla sempre più accentuata variabilità climatica. La chiave per capire l’importanza di mettere mano al governo dell’acqua in Italia (per l’agricoltura e non solo), sta proprio negli ultimi due vocaboli usati dai tecnici dell’Anbi: variabilità climatica. Con tutto ciò che ne consegue: grandi siccità ma anche grandi, eccessive e improvvise disponibilità d’acqua. In entrambi i casi, in un territorio mal governato dal punto di vista idrico, tutto questo significa guai anche seri.
Che il Paese – non solo gli agricoltori –, sia favorevole a spendere per questo argomento, pare sia anche confermato dalle indagini. Stando ad Inea (l’Istituto di economia agraria), ogni famiglia italiana sarebbe disposta a spendere mensilmente 7,80 euro per mantenere l’attuale paesaggio dovuto all’irrigazione. Senza contare che l’attuazione di un piano straordinario di manutenzione del territorio creerebbe almeno 50 mila nuovi posti di lavoro, oltre all’aumento a due cifre della produttività agricola e quindi del valore della terra. Allo scopo di evidenziare la stima del valore complessivo dei benefici che derivano da un’attività agricola irrigua, i dati di un’indagine Anbi: supponendo che ogni nucleo familiare sia titolare di una bolletta dell’acqua, avremmo 24,6 milioni di famiglie che ricevono benefici da un paesaggio tipico da agricoltura irrigua; è stato stimato il valore dei benefici, che ammonta complessivamente a 191,88 milioni al mese (114,64 milioni al mese per quanto attiene alla presenza di un paesaggio della cultura contadina; 38,87 milioni al mese riguardo alla presenza di un paesaggio che non è irrigato solo in quanto si trova in situazione di siccità; il riempimento delle falde acquifere invece procura benefici alla collettività stimabili in 33,46 milioni al mese).
Tali risultati supportano, con quantificazioni monetarie, quanto sostiene l’Anbi: l’agricoltura irrigua genera maggiore reddito a favore delle aziende agricole e contribuisce alla ricchezza totale prodotta; esercita, inoltre, un ruolo significativo nel mantenimento dell’occupazione e, di conseguenza, nel contenimento del fenomeno dell’esodo rurale; attribuisce un rilevante ruolo sociale all’uso della risorsa idrica.