Dora Ferretti in una nota sottolinea la necessità di introdurre il lavoro manuale nelle scuole. Di seguito la nota integrale.
“Le ragioni per un percorso formativo che aderisca alla intrinseca unità delle funzioni psico/fisiche nell’essere umano”.
Recentemente un’artigiana, che mi ha fatto vedere i suoi lavori prodotti dalla laboriosità delle sue Mani, ha lamentato lo scarso interesse delle istituzioni scolastiche ad inserire nelle attività annuali progetti che favoriscano lo sviluppo delle attività manuali e che promuovano la capacità di superare singoli ostacoli.
Infatti, molteplici problemi inevitabilmente si presentano nello svolgimento del lavoro e che richiedono soluzioni puntuali e uniche, in quanto determinati dalla tipologia del materiale usato, dalla sua abbondanza o penuria, dalla sua specifica fattura, dalla complessità del progetto finale, dalla eventuale opportunità di apportarvi alcune modifiche.
Questa annotazione, mi ha ricordato il grande antropologo Clifford Geertz che, nel suo libro “Interpretazione di culture”, ha individuato nella collaborazione tra tre elementi la circostanza determinante, negli esseri viventi, il salto evolutivo che ha aperto un percorso selettivo alla volta di possibili innovazioni radicali; depositario della citata collaborazione è stato un essere portatore di una mutazione genetica inerente alla struttura degli arti superiori: la mano prensile.
Il pollice opponibile dell’homo habilis ha stimolato lo sviluppo dei circuiti neuronali che, a loro volta, hanno potenziato l’abilità manuale. Il tutto all’interno di un contesto comunitario relazionale costituito dalla comunicazione, che andava a supportare gli altri due elementi e ne era sollecitato.
La circolarità di questi tre elementi -pensiero, manualità, cultura- in un gioco di rimandi reciproci ha spinto in alto il processo evolutivo, rendendo l’essere umano quello che è oggi: homo sapiens. La manualità apre nuovi circuiti neuronali e accende nuove sinapsi, le relazioni sociali potenziano le funzioni mentali, la corteccia cerebrale facilita la soluzione di problemi sia produttivi che sociali.
Nel terzo millennio, l’uso intensivo ed estensivo della tecnologia sta progressivamente minimizzando questa felice collaborazione prodotta da un perfetto incastro tra cervello/mente – socialità – progettualità: la macchina costruisce gli oggetti, il computer risolve i problemi e gli algoritmi organizzano le relazioni. Sono proprio quelle tre attività che, in virtù di un potenziamento reciproco, hanno consolidato le strutture cognitive, ampliato le capacità relazionali e incrementato le abilità produttive.
Il circolo virtuoso che ha portato l’uomo ad essere quello che è oggi rischia di essere scardinato dalla tecnocrazia. Per contrastare questa deriva, è auspicabile inserire nelle attività di apprendimento il lavoro manuale condiviso, da affiancare al lavoro cognitivo, sempre e comunque condiviso.
Più che arrivare primi, sarebbe opportuno arrivare insieme. Infatti, il Primo, dimentico che la sua eccellenza è il punto di arrivo di un personale percorso agevolato da un contesto ambientale favorevole, da solo, rischia di sprofondare nella inanità, se il suo primo posto, una volta raggiunto, non viene supportato dal contributo di una intera società che lavora e si muove nella stessa direzione.
Si arriva sempre insieme, anche in assenza del riconoscimento da parte di altri del ruolo svolto, ciascuno contribuendo con la propria parte, piccola o grande che sia. La competizione è un’ottima spinta a dare il meglio di sé nel lavoro di gruppo affinché l’esito entri nella circolazione pubblica delle idee, riscuota l’approvazione sociale e arricchisca la crescita culturale comune.
Ciascuno contribuisce al successo del lavoro di gruppo in base alle sue competenze, abilità, attitudini, debitamente valorizzate e rafforzate dal successo del risultato. Competizione però inclusiva, non esclusiva; mai nessuno è il migliore per sempre, il primo e l’unico in ogni luogo e in ogni tempo.
Paternità (originaria, non unica) e libertà di circolazione di idee, progetti e intuizioni, ma anche appartenenza e libertà di migrazione delle persone da un gruppo all’altro perché ognuno trovi ulteriori stimoli che possano aprire nuovi percorsi riflessivi, sia soggettivi che comunitari; inoltre, i singoli gruppi potranno fruire delle abilità e competenze dei nuovi arrivati.
Naturalmente non sto dicendo niente di nuovo; è una pratica ampiamente usata nello sport, ma anche nelle scuole.
L’incipit di questa breve riflessione intende valorizzare le attività manuali da affiancare alle attività cognitive, in vista di un potenziamento reciproco.