Dati Svimez, Lopatriello: “Basilicata ultima tra le ultime”.
“Cristo si è fermato a Eboli” scrisse Carlo Levi negli anni del confino in Basilicata tra il ’35 e il ’36 per descrivere una realtà, quella meridionale, e in particolar modo quella lucana, fuori dalla storia. Oggi come allora, il romanzo conserva ancora una profonda verità: “Cristo si è davvero fermato a Eboli, dove la strada e il treno abbandonano la costa di Salerno e il mare, e si addentrano nelle desolate terre di Lucania. Cristo non è mai arrivato qui”. Non è un caso, ad esempio, che Matera non sia ancora servita dalle Ferrovie dello Stato.
“La situazione italiana è allarmante, complice una crisi che non dà tregua – commenta il candidato regionale in quota Cdu nella lista Mir, Nicola Lopatriello, ma lo è ancora di più quella del Sud, addirittura drammatica quella della Basilicata”. A confermarlo, i dati dell’ultimo rapporto stilato dall’Associazione per lo sviluppo dell’industria nel Mezzogiorno (SVIMEZ).
Secondo lo studio SVIMEZ nel 2012 il Pil è calato nel Mezzogiorno del 3,2%, oltre un punto percentuale in più del Centro-Nord, con oltre 500 mila occupati che dal 2008 hanno perso il proprio posto di lavoro. Più in particolare, negli ultimi posti di questa speciale classifica troviamo la Basilicata, penultima, il cui Prodotto interno lordo si attesta al -4,2%. Per avere una idea ancora più chiara e comprendere meglio l’allarme socio-economico rintracciabile nella nostra regione, basta confrontare in valori assoluti il Pil lucano con quello della Val d’Aosta. Il primo è fermo a 17.647 euro, il secondo a 34.415 euro. Il divario tra la regione più ricca d’Italia e la Basilicata, nel 2012, è quasi il doppio: in altri termini, un valdostano ha prodotto nell’ultimo anno quasi 17 mila euro in più di un lucano.
”Dopo i dati del rapporto Svimez 2013 sull’economia del Mezzogiorno che fotografano una realta’ inquietante, il riscatto sociale e civile del Sud può ripartire da un nuovo modello di sviluppo sostenibile che il Consiglio e la Giunta Regionali della Basilicata, che saranno eletti a metà novembre, sono chiamati a costruire attraverso il consenso e il protagonismo dei soggetti sociali”. Lo sostengono in una dichiarazione congiunta il segretario nazionale e il commissario regionale di IdV Ignazio Messina e Gaetano Cantisani.
“Tutti i nodi vengono al pettine. Man mano che emergono i dettagli di questa legge di stabilità, le nostre preoccupazioni e critiche – aggiungono i dirigenti di IdV – si rivelano sempre più fondate. Ormai è chiaro che il governo vuole far pagare la crisi solo alle fasce più deboli della popolazione. La manovra, infatti, non solo non tocca i grandi patrimoni gli evasori e non contiene norme per recuperare il denaro frutto della corruzione, ma va a prendere altri soldi dalle tasche di statali, pensionati, risparmiatori e dei proprietari delle prime case. Per le Regioni del Sud come la Basilicata, ritornata a far parte del gruppo di Regioni “Obiettivo uno” proprio per i suoi indicatori economici negativi – sottolineano Messina e Cantisani – sarà ancora più complicato garantire persino la tenuta del welfare e si impone pertanto la necessità di un oculato utilizzo dei fondi comunitari del prossimo sessennio di programmazione. A livello nazionale invece le coperture finanziarie sono a rischio e sarà difficile passare l’esame di Bruxelles. Gli italiani sono stufi di essere presi in giro da questo esecutivo del rinvio, che non riesce a prendere decisioni coraggiose perché composto da forze troppo diverse fra loro. Abbiamo la lealtà di dirlo chiaramente al Paese e si assumano le loro responsabilità, dando la possibilità ai cittadini di tornare a votare. Questo immobilismo sta bloccando la ripresa, ci sta condannando ad un regime di sopravvivenza e ci sta portando ad un punto senza ritorno”.
Per Messina e Cantisani infine “la questione meridionale, nella quale si rispecchia fedelmente la situazione socio-economica lucana con l’allarme disoccupazione giovanile, deve essere considerata una priorita’ nazionale, visto che in Italia non puo’ e non deve esservi una ripresa a due velocità. Il Governo Letta metta in campo provvedimenti mirati e urgenti, volti a rilanciare il meridione perche’ dalla sua ripresa dipende il rilancio dell’economia nazionale”.
Il rapporto Svimez sull’economia meridionale ci consegna una nuova fotografia a tinte scure sul comparto delle costruzioni. Lo dichiara in una nota Domenico Palma, segretario FENEAL-UIL Basilicata. Di seguito la nota integrale.
Nel 2012, il valore aggiunto nel settore è sceso del 6,9% nel Mezzogiorno e del 6,1% nel Centro-Nord, aggravando la perdita del 2011 (rispettivamente -4,5% e -3,1%). Non va meglio sul fronte degli investimenti: dopo cinque anni consecutivi di risultati negativi in entrambe le ripartizioni, sono scesi nel 7% al Sud e del 6% nel Centro-Nord, a testimonianza degli effetti sfavorevoli della crisi economica nell’edilizia. Non a caso dal 2007 al 2012 gli investimenti nelle costruzioni sono crollati al Centro-Nord del 21,2% e al Sud del 26,4%.
In caduta anche i mutui erogati per l’acquisto di abitazioni, -46% in Italia, e nel Mezzogiorno va
ancora peggio: siamo vicini al -50% in Basilicata. In valori assoluti, nel 2012 sono stati erogati 26 milioni di euro in meno rispetto agli oltre 49 del 2011.
In calo anche l’occupazione, al Sud del 5,7%, pari a circa 30mila posti di lavoro, mentre il Nord
segna -5,2%. Più colpiti i dipendenti, -5,4% al Sud, – 7,1% al Centro-Nord. In valori assoluti, in
quattro anni, dal 2008 al 2012, nel settore sono andati persi oltre 218mila posti di lavoro, di
cui circa 110mila, oltre il 50%, nel Mezzogiorno.
Sul fronte delle opere pubbliche, nel 2012 al Sud sono state bandite oltre 8mila gare per un importo complessivo di 7,7 miliardi di euro. A livello regionale, Sicilia e Campania hanno bandito più gare (rispettivamente 1.973 e 1.644) a fronte di 1,6 e 2,3 miliardi. Numero limitato e importi limitati in Basilicata. Va però rilevato che gli importi medi delle opere poste in gara al Sud nel 2012 restano ancora di circa il 70% inferiori a quelli rilevati nel Centro-Nord. Data la scarsità delle risorse pubbliche, negli ultimi anni si è affermato lo strumento del Partenariato Pubblico e Privato (PPP), arrivato a pesare nel 2012 per un quinto delle opere poste in gara e per il 39% degli importi. Nel Mezzogiorno oltre 1.200 gare sono state registrate con il PPP per un valore di 2,2 miliardi di euro, a fronte di 1.900 gare e 6,4 miliardi di euro nel Centro-Nord.
Nel 2012 la politica infrastrutturale a livello centrale si è fortemente concentrata sull’attuazione
della “Legge Obiettivo”, mentre a livello regionale e locale si è basata sull’attuazione dei
programmi finanziati dai Fondi europei e dalla programmazione di sviluppo regionale. Nonostante
le proposte di adozione della golden rule, che permetterebbe di escludere dalla disciplina di bilancio la spesa per investimenti, tra cui soprattutto le infrastrutture, in assenza di una profonda
ristrutturazione della spesa pubblica sarà difficile recuperare risorse per investimenti nel settore.
Tanto più che in genere il settore è oggetto di riprogrammazione della spesa per evitare il non
utilizzo delle risorse stanziate, per criticità strutturali come l’efficienza della PA e la pressione
dell’illegalità.
Ancora, l’ultimo Programma Infrastrutture Strategiche (PIS) del Ministero dei Trasporti,
aggiornato ad aprile 2013, prevede interventi per 231,6 miliardi. Di questi, risultano approvate dal
CIPE opere per 126,6 miliardi, pari al 54,7% del totale previsto dal PIS, di cui disponibili 72 e da
reperire 54,6 miliardi. Inoltre il 65% delle opere ultimate approvate dal CIPE è nel Mezzogiorno,
cifra determinata dall’adeguamento dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria, progetto che da solo
copre il 37% dell’importo totale delle opere.
In base all’ultima indagine della Camera dei Deputati sulla “Legge Obiettivo”, le opere deliberate
dal CIPE contenute nel programma localizzate nel Mezzogiorno sono il 42% del totale (81 su 190),
con 24 opere ultimate contro le 17 del Centro-Nord, cosa che si spiega con i minori importi e
dimensioni delle opere stesse.
Ma nel 2012, per la prima volta, il Centro-Nord ha superato il Sud in termini di importi complessivi
delle opere ultimate: opere della “Legge Obiettivo” deliberate dal CIPE ammontano nel Centro-
Nord a 47 miliardi, oltre sette volte l’importo destinato al Mezzogiorno, 5,7 miliardi. Stessa
prospettiva anche sul fronte della progettazione, per cui sono previste opere per 32 miliardi al
Centro-Nord e solo per 8 al Sud. Nelle grandi infrastrutture quindi la pianificazione sta
evidenziando un difetto di impostazione ai danni del Mezzogiorno che andrebbe corretto, anche
attraverso l’individuazione di quattro settori chiave: porti (specializzazione degli scali, riduzione
delle autorità portuali, misure di incentivazione e di attrazione di investimenti), aeroporti
(razionalizzazione degli scali definiti regionali, potenziati con project financing), interporti
(vantaggi fiscali, agevolazioni doganali, snellimento burocratico delle procedure) e ICT.
Si tratta dunque di cogliere le indicazioni della Svimez: nonostante l’esistenza di strumenti programmatici ormai ultra-decennali, le politiche infrastrutturali non vengono valorizzate pienamente nella loro funzione di rilancio della crescita, specialmente nel Mezzogiorno. In più, periodici rimodulazioni dei bilanci uniti alla scarsità delle risorse mettono a rischio gli impegni assunti in materia. In questo senso potrebbero essere adottati provvedimenti di finanza pubblica a tutela delle risorse programmate quali “un vincolo politico” sancito dal Parlamento che ne impedisca ulteriori rassegnazioni, a patto di mantenere una reale efficacia nella spesa.
Infine, un’azione coordinata e vigorosa per favorire la rigenerazione urbana può rappresentare un
driver per le politiche di sviluppo, essendo quello delle costruzioni uno dei settori a maggiore
intensità di lavoro e con impatti più significativi per l’economia italiana. La proposta SVIMEZ di un’Agenzia specifica per la rigenerazione urbana, quale coordinamento di un’attività di
assistenza strategica, procedurale e tecnica vicina ai problemi del territorio ma indipendente da
logiche localistiche, è sicuramente da approfondire.
In contemporanea con i dati del Rapporto Svimez che segnano l’incremento delle famiglie povere (in Basilicata una sua quattro) e il calo dei consumi alimentari (-9,3%) la Cia-Confederazione Italiana Agricoltori rilancia la campagna di lota agli sprechi alimentari. La quantità di cibo sprecata e persa in tutto il mondo è vertiginosa. Solo in Italia – si legge in una nota – ogni anno finiscono nella pattumiera da 5 a 10 milioni di tonnellate di prodotti alimentari. E anche se la crisi ha ridotto notevolmente le cifre degli sprechi, ancora oggi le famiglie italiane buttano tra i rifiuti circa 28 euro al mese di alimenti ancora commestibili.
Uno scandalo dal punto di vista economico ed etico, soprattutto se si pensa che nell’ultimo anno sono aumentate del 9 per cento le famiglie che hanno chiesto aiuto per mangiare – aggiunge la Cia -, per un totale di 3,7 milioni di persone assistite con pacchi alimentari e pasti gratuiti nelle mense. Ma a livello globale la situazione è ancora più drammatica, con ben 1,3 miliardi di tonnellate di cibo che finiscono in discarica, pari a un terzo della produzione totale. Alimenti che potrebbero essere usati in prospettiva per alimentare la popolazione mondiale in costante aumento e soprattutto per far fronte ai bisogni di chi soffre la fame e la malnutrizione.
D’altra parte la vergognosa ‘cultura dello scarto’ contro cui si è scagliato oggi anche Papa Francesco è una caratteristica dei Paesi ricchi – sottolinea la Cia -. Basti pensare che il valore pro-capite degli sprechi alimentari per consumatore in Europa e in Nord America si aggira tra i 95 e i 115 chili l’anno, mentre in Africa sub-sahariana e nel Sud-Est asiatico scende drasticamente tra i 6 e gli 11 chili annui a persona. C’è bisogno, quindi, di una maggiore consapevolezza da parte di tutti.
Oggi più che mai è necessario acquisire una coscienza solidaristica orientata a riequilibrare i mercati -osserva la Cia-. Bisogna cancellare gli sprechi e cominciare a ripensare ai nostri stili e sistemi alimentari tenendo conto che nel 2050 la popolazione sarà di 9 miliardi di persone. Per questo è sempre più importante che le istituzioni mettano finalmente al centro dell’agenda il cibo e l’agricoltura, promuovendo politiche che scoraggino lo lo spreco e lo sfruttamento selvaggio delle risorse e garantiscano invece la sicurezza alimentare globale.
Nella campagna promossa dalla Cia è prevista anche l’organizzazione di laboratori presso le aziende agrituristiche per insegnare alle donne e ai consumatori come evitare lo spreco di molti prodotti alimentari, tra i quali il più diffuso è purtroppo il pane raffermo, attraverso piatti rielaborati della cucina contadina e rurale.
“Quali altri dati dobbiamo più attendere per avere piena consapevolezza che, all’interno di un Mezzogiorno che sta sprofondando nella povertà e a rischio desertificazione industriale, dove si continua a emigrare verso il centro-nord e all’estero, la situazione della nostra regione è la più allarmante?”. E’ la domanda da cui parte il capogruppo del Pdl in Consiglio Regionale Michele Napoli commentando il Rapporto Svimez sull’economia del Mezzogiorno 2012 presentato oggi a Roma. “Questa volta – continua – sarà impossibile per la Giunta regionale e il centrosinistra che l’ha sostenuta da sempre nascondere o sminuire il meno 4,2% del PIL in un anno e che negli ultimi cinque anni va oltre il meno 10% di crollo del PIL come dato Mezzogiorno, confermandosi come indicatore economico tra i più negativi delle regioni meridionali. I dati Svimez sono persino peggiori di quelli pubblicati dalla Banca di Italia (PIL 2012 al -3% , disoccupazione attorno al 15% e accentuata caduta della produzione industriale, del 9,5% rispetto al 2011), con la Basilicata che risulta sempre più arretrata nel contesto nazionale. E se non bastasse, nei giorni scorsi l’Unione Europea ha certificato la retrocessione della Regione Basilicata, che torna tra le regioni Obiettivo 1, mentre siamo di fronte all’emergenza demografica accentuata dal più basso tasso di natalità affiancato alla ripresa dell’emigrazione specie intellettuale.
Ci sono due banchi di prova all’orizzonte: la legge di stabilita’ per il Governo chiamato a rilanciare l’impegno in favore del Sud, senza il quale l’Italia non puo’ agganciare quella ripresa che gli altri paesi europei stanno cogliendo .Non e’ piu’ accettabile avere un Paese diviso in due, serve maggior impegno e piu’ coerenza da parte del Governo per rimettere al centro dell’agenda politica la questione meridionale da troppo tempo accantonata. L’altro – conclude Napoli – è il voto degli elettori per cambiare il Governo della Regione che ha sylle spalle per intero la responsabilità”.
“I dati del Rapporto Svimez per la Basilicata segnano un punto limite della situazione socio-economica che richiede una terapia d’urto che solo un nuovo Governo Regionale realmente innovativo e con solide basi riformiste può contribuire ad attuare”. E’ quanto afferma il segretario regionale della Uil lucana Carmine Vaccaro che insieme a dirigenti del Centro Studi Economici e Sociali della Uil regionale ha partecipato a Roma alla presentazione del Rapporto Svimez 2013 sull’economia del Mezzogiorno.
“Su tutti – dice Vaccaro – ci sono dati che non consentono più alla classe politica e dirigente regionale di fare gli “struzzi: l’arretramento del 4,2% del Pil 2012 rispetto all’anno precedente; il tasso di mortalità che supera di gran lunga quello di natalità a conferma della condizione demografica della nostra regione da quartiere di una metropoli; il 24,5% di famiglie classificate in condizione di povertà relativa; i 31mila giovani Neet, vale a dire che non studiano più ed hanno cessato di trovare lavoro. E’ ancora una volta la condizione di vita delle famiglie ad allarmarci tenuto conto che una su due è monoreddito e il 16,7% ha un reddito minore ai mille euro al mese. Abbiamo difronte perciò un’impresa che dovrebbe far tremare i polsi e non per questo impossibile sintetizzabile nel contrasto alla disoccupazione, che ha raggiunto livelli da allarme rosso, soprattutto tra i giovani e della povertà. Solo così possiamo rimettere in moto la crescita. Siamo profondamente preoccupati per la fase elettorale che sta per iniziare e di fatto – sottolinea Vaccaro – ritarda le azioni da mettere in campo. Ma non per questo rinunciamo a svolgere il compito che i lavoratori e i cittadini ci hanno assegnato sollecitando coalizioni, partiti e candidati a presentare e discutere proposte su come superare il grave ritardo socio-economico che coincide con il disagio delle nostre famiglie. Al Governo Letta invece chiediamo di riprogrammare i fondi europei da spendere da qui al 2015 proprio per invertire la rotta, come ha lucidamente indicato il direttore Svimez, che sinora ha privilegiato l’utilizzo dei fondi comunitari per “conservare lo status quo” e non certamente per raggiungere gli obiettivi di nuova occupazione, crescita e superamento del gap infrastrutturale. Si tratta di spendere 1 mld al mese, pena la restituzione a Bruxelles, da concentrare su un piano per il lavoro. Purtroppo dalla Legge di Stabilità non arrivano anche in questo caso notizie incoraggianti. Infatti, per il periodo 2014-2020, la Legge di Stabilità stanzia soltanto 24,5 mld di euro di cofinanziamento dei fondi strutturali europei a fronte dei 29 mld che mette l’Unione Europea. Ciò significa, per le regioni del Sud, un taglio di 4,5 mld di euro per i prossimi 7 anni. A questo proposito, chiediamo al Governo di ripristinare il pieno cofinanziamento dei fondi europei, e, soprattutto, che essi siano immediatamente spendibili, su lavoro e sviluppo. Perché se riparte il Mezzogiorno riparte l’intero Paese. Voglio sottolineare che l’istituzione dell’Agenzia di Coesione decisa dal Governo Letta risponde ad una delle sollecitazioni della UIL per la prosecuzione della spesa dei fondi UE. Altre riguardano: interventi per una politica di reindustrializzazione attraverso incentivi alle imprese legate a tenere la produzione in loco; partecipazione ad appalti pubblici con bandi preconfenzionati con premialità per le aziende locali; “sburocratizzazione” del sistema delle autorizzazioni con riduzione dei tempi di attesa per aprire aziende e contestuale rafforzamento dei controlli in itinere”.