“La strada della transizione ecologica è segnata e se la Basilicata non attuerà politiche industriali ed energetiche che guardano alle nuove tecnologie e a un nuovo modello energetico rinnovabile e decentrato, le conseguenze sul mondo produttivo e sull’occupazione saranno devastanti. Perciò non sono assolutamente accettabili dichiarazioni di chi sostiene che la transizione non crea nuova occupazione e non lascia benefici sul territorio. Ciò è possibile e auspicabile se la transizione viene governata in una sinergia tra mondo produttivo, governo nazionale e territori. Altrimenti, ed è quello che purtroppo sta accadendo nell’automotive e nelle estrazioni petrolifere in Basilicata, ci troviamo di fronte a esuberi, incentivi all’esodo e stabilimenti che chiudono come in Stellantis e nell’indotto di Melfi. Ma non è conseguenza della transizione. È conseguenza dell’assenza di adeguate politiche industriali e degli interessi dei grandi palyer, che guardano al profitto scaricando sui lavoratori i costi della transizione”. Lo affermano il segretario generale della Cgil di Potenza, Vincenzo Esposito e la segretaria generale della Fiom Cgil Basilicata, Giorgia Calamita.
“La Cgil – prosegue – rivendica da anni una giusta transizione ecologica, molti documenti e piattaforme contengono le nostre proposte dettagliate e ambiziose che continueremo con ostinazione a portare avanti. La giusta transizione che fa bene al clima, all’economia e ai lavoratori – affermano – è necessaria e urgente e deve essere accelerata per recuperare il tempo perduto, a partire dall’obiettivo della mobilità sostenibile e dell’auto elettrica. Abbiamo bisogno di uno scatto in avanti – spiegano i dirigenti sindacali – Il governo e le istituzioni devono credere di più nell’elettrificazione del Paese e nella sfida di un modello di sviluppo che mette al centro la mobilità sostenibile, le energie rinnovabili, l’idea di una nuova economia. La transizione dal fossile al rinnovabile è un risposta obbligata e non più rinviabile e una scommessa che la Basilicata non può perdere. Bisogna che il governo regionale investa in alternative produttive di combustibili puliti, quali idrogeno, biocarburanti e biometano ma anche in eolico, fotovoltaico, idroelettrico, nella produzione di sistemi di accumulo, nella mobilità sostenibile, nello sviluppo di filiere produttive in Basilicata complementari ai processi di transizione e quanto altro possa assicurare alle future generazioni un mondo pulito e migliore sia dal punto di vista ambientale e della ecosostenibilità delle produzioni che dal punto di vista dello sviluppo occupazionale”.
Esposito e Calamita ricordano che l’Agenzia internazionale dell’energia stima che la rapida espansione delle tecnologie per l’energia pulita sarà accompagnata da una commisurata espansione della forza lavoro nel settore energetico che passerà a livello mondiale da poco più di 65 milioni di oggi a 90 milioni nel 2030, tenendo conto sia dei posti di lavoro diretti nei settori dell’energia che di quelli indiretti nella produzione di componenti essenziali per le tecnologie e le infrastrutture energetiche. L’Aie stima quasi 40 milioni di nuovi posti di lavoro nelle energie pulite entro il 2030, che compenseranno positivamente la perdita di posti di lavoro nelle industrie legate ai combustibili fossili.
Da un resoconto elaborato dal Gse-Gestore servizi energetici, inoltre, emerge che nel 2021 le rinnovabili elettriche occupano in Italia circa 14mila persone tra diretti e indiretti e quelle termiche circa 29mila. A seguito del progressiva diffusione degli impianti per la produzione di energia elettrica da rinnovabili, poi, i dati sugli occupati mostrano un incremento di circa 7mila unità tra il 2013 e il 2021. Una ricerca del Censis commissionata da Assosomm (Associazione italiana delle Agenzie per il lavoro) evidenzia che nei prossimi 3-4 anni si aprirà uno scenario che potrebbe offrire oltre 150mila nuovi posti nel settore delle energie rinnovabili.
“Raggiungere questa crescita – affermano Esposito e Calamita – richiede una strategia, una pianificazione e una lungimiranza che evidentemente il governo regionale della Basilicata dimostra di non avere e che richiede un coinvolgimento dell’industria e degli istituti di istruzione e formazione per evitare che la carenza di manodopera qualificata diventi un collo di bottiglia per la transizione energetica.
Per questi motivi – concludono – riteniamo gravissime le affermazioni di chi addossa alla transizione responsabilità che non esistono, fomentando i lavoratori per giustificare la propria inadeguatezza nel governare questa delicata fase di trasformazione. Anche i protocolli sottoscritti con Eni e Total sulle compensazioni ambientali in Val d’Agri appaio come meri proclami. Quello che serve, come ribadito più volte, è l’istituzione di un fondo regionale per la transizione ecologica, un Recovery Fund necessario per sostenere i salari e i settori produttivi così da salvaguardare l’occupazione e/o ammortizzare le conseguenze della perdita di posti di lavoro in vista dell’esaurirsi dei giacimenti petroliferi in Val d’Agri. Lo stesso dovrebbe avvenire per l’automotive. In questo senso l’istituzione dell’area di crisi industriale complessa a Melfi non è risolutiva. È solo un espediente per tamponare la situazione in modo passeggero: ai lavoratori servono certezze sul futuro occupazionale e produttivo.
È fondamentale accelerare il percorso della transizione energetica con un confronto continuo con il sindacato. Si convochi con urgenza il tavolo regionale sull’automotive per dare risposte concrete ai lavoratori sulle prospettive occupazionali e salariali”.