Se l’export agroalimentare italiano secondo le stime di Nomisma va a gonfie vele e raggiungerà a fine 2017 i 40 miliardi di giro d’affari ci sono grandi margini di crescita per l’agroalimentare made in Basilicata che incide appena tra l’1-1,5 per cento su quello nazionale. A sottolinearlo è la Cia evidenziando che le 4 regioni ‘regine’ dell’export (Veneto, Lombardia, Emilia Romagna ePiemonte)sono favorite –come osserva Nomisma- dalla presenza di imprese più dimensionate, reti infrastrutturali più sviluppate, nonché produzioni alimentari maggiormente “market oriented”, che esportano in valore il 60% del totale del fatturato di export agroalimentare made in Italy. Arranca il Sud, che, nonostante produzioni agroalimentari di qualità diffuse, incide tutto insieme sul totale del fatturato solo per meno del 20%.Abbiamo un potenziale enorme tenuto conto che la tendenza del “mangiare italiano”, nonostante la crisi dei consumi, è comunque positiva. Tanto più che l’alimentare “made in Basilicata” continua a tirare sui mercati esteri persino rispetto ad auto (Fiat) e salotti. Per la Cia ”si tratta di un primato che conferma ancora una volta l’eccellenza dell’agroalimentare ‘made in Italy’ rispetto ai nostri competitor piu’ agguerriti”, che pero’ avverte: ”si puo’ fare molto di piu’ per sviluppare il segmento: da un lato serve piu’ promozione a sostegno dei nostri prodotti a denominazione meno conosciuti; dall’altro occorre intensificare la lotta alla contraffazione alimentare, che ogni anno ”scippa” alle nostre imprese di qualità oltre 1 miliardo.
Al centro,in stretta sintonia con il “brand Qualità Basilicata” , quale Marchio d’Area ed efficace strumento di marketing,c’è il progetto del “Network dei Valori” con “Reti d’impresa territoriali” capaci di mettere in trasparenza l’intero processo di filiera che porta i prodotti agricoli e alimentari locali dal campo al consumatore. La proposta della Cia è semplice e chiara: bisogna creare accordi sinergici ben codificati tra l’agricoltura, l’artigianato, il commercio, la logistica, gli enti locali per costruire un percorso virtuoso intorno alle produzioni agroalimentari. Una sorta di patto per dare vita a “Reti d’impresa territoriali” con un codice di tracciabilità “ad hoc”, da apporre sul packaging dei cibi, a certificazione e garanzia del processo avvenuto all’interno di un accordo di “Network”.
Per la Cia bisogna usare ”tolleranza zero” verso chi imita i nostri prodotti d’eccellenza, facendo concorrenza sleale alle nostre imprese e compromettendo il prestigio del nostro sistema agroalimentare dentro e fuori i confini nazionali. La Cia ha presentato una proposta di legge di iniziativa popolare per regolare i rapporti tra agricoltura e Gdo (Grande distribuzione organizzata). L’obiettivo è di promuovere e commercializzare i prodotti locali che siano tracciabili e identificabili nel territorio rurale di produzione, aprendo nuovi spazi di mercato a produzioni alimentari e tipiche lucane anche di nicchia. E’ dunque un ulteriore sostegno alla rete di prodotti Dop, doc, docg e igp “made in Basilicata”, e ai programmi di filiera agro-alimentare proiettati all’esportazione. L’elenco nazionale dei prodotti agroalimentari tradizionali realizzato dal Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali che con l’aggiornamento (il quindicesimo) riconosce 95 prodotti lucani, di cui 35 classificati quali paste fresche e prodotti panetteria e pasticceria; 25 prodotti vegetali allo stato naturale o trasformati; 16 carni fresche e loro preparazione; 12 formaggi; 4 prodotti di origine animale (miele, lattiero-caseari); 2 prodotti della gastronomia, uno bevande alcoliche, distillati e liquori.
Nel dettaglio la situazione lucana: formaggi – 2 dop e 1 igp; ortofrutticoli e cereali – 2 dop e 2 igp; olio extravergine di oliva, 1 dop; altri prodotti, 1 igp. I produttori lucani interessati sono 96 (erano 65 nel 2011) per una superficie di 157,14 ettari; 37 gli allevamenti (di cui 15 suinicoli per 30mila capi) ; 40 i trasformatori, 45 gli impianti di trasformazione per complessivi 129 operatori.